Profeti di Alessio Cremonini è una sfida. Visiva, percettiva, politico religiosa. Un Carnage in salsa Isis. Due donne rinchiuse in uno spazio angusto da dove non si può guardare (e andare) fuori: una è fiera di essere sottomessa all’uomo, alla fede, alla guerra; l’altra prigioniera, ricattata, privata di speranza e futuro, nuovamente libero, prova a resistere ma poi (forse) cede. Sara (Jasmine Trinca) è una giornalista sul fronte di guerra siriano. Prima è a Kobane dove intervista una soldatessa curda, poi raccoglie la testimonianza di una donna a cui il Califfato ha decapitato il figlio presunta spia, infine con il cameraman, l’autista e un interprete finisce in un’imboscata e viene rapita dai miliziani dell’Isis. Finirà prima in un caseggiato diroccato, primo luogo di interrogatori, torture e sevizie (che non le toccano, ma agli altri sì), poi in quanto donna in una casupola dove vive Nur (Isabella Nefar), foreign fighter e moglie di un mujahid, in mezzo ad un campo di addestramento dei soldati del Califfato a sua volta bombardato di continuo. Nessuno torcerà un capello a Sara, ma chiaro è il tentativo di spegnere in lei ogni speranza di liberazione e di accenderle quello della conversione ad Allah attraverso dettami e pratiche islamiche insegnate da Nur.
Ambientato per tre quarti in un unico interno, con le due attrici/protagoniste che si affrontano in un continuo faccia a faccia psicologico ritmato da discussioni etiche accese e un senso di reclusione senza fine dei corpi che ricorda Sulla mia pelle, Profeti è un logorante e tenace lavorio alle certezze occidentali, laiche e femminili da parte di una ottundente versione della fede islamica che vede la libertà nella sottomissione ad Allah. L’accavallamento di sottotesti (il ruolo della donna, la disumanità dell’estremismo religioso, la pericolosità della morte in guerra) si innesta nella scelta formale dell’impossibilità per la protagonista di vedere oltre le finestre zigrinate e le porte sbarrate, se non attraverso una fessura nel muro o qualche buco sotto la coperta che viene obbligata per parecchio tempo a tenere sulla testa. Un punto di vista in soggettiva buia dapprima, e di spazialità limitante dopo, che obbliga lo spettatore, e le protagoniste, a fare i conti con un’inquieta assenza: la ricerca del senso di verità del proprio credo. Girato mimeticamente in Puglia (Bitonto, Gravina, Altamura), con una virata fotografica livida priva di appigli cromatici spinti, Profeti ricorda, tra l’altro, le atmosfere del Private di Costanzo e l’energia centrifuga di Sleuth (del ’72). La Trinca evita ogni possibile fronzolo estetizzante per un’interpretazione asciutta, intensa, di matura originalità.