“E’ con molto orgoglio che io ritorno a Celac. Alberto io voglio dirti che puoi contare su di me nella lotta per l’integrazione dell’America Latina e dell’America del Sud”. Parole dette da Luiz Inácio Lula da Silva e captate da un video mentre stringe le mani di Alberto Fernández, presidente della Repubblica Argentina e anche presidente pro tempore per il 2022 della Comunità degli Stati latinoamericani e caraibici (composta da 33 stati e chiamata appunto Celac). Parole importanti, che non hanno solo un significato circostanziale trai i presidenti delle due più grandi economie dell’America del Sud, ma che sanciscono che il Brasile è tornato.
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Sì, perché il Brasile a guida Jair Bolsonaro aveva abbandonato nel 2020 questo meccanismo intergovernativo creato il 23 febbraio 2010 per promuovere il dialogo nella regione. “Il Brasile ha deciso di sospendere la sua partecipazione alla Celac. La Celac non ha avuto risultati nella difesa della democrazia né in alcun ambito. Al contrario ha dato risalto a regimi non democratici come quelli di Venezuela, Cuba, Nicaragua”, dichiarava l’allora ministro brasiliano degli Esteri, Ernesto Araújo, sancendo così l’autosospensione del Brasile dall’organismo. Un segnale forte dunque quello di Lula a Buenos Aires, in questo incontro del VII vertice del Celac del 24 gennaio, che ha visto il passaggio di consegne alla presidenza protempore tra Fernández e Ralph Gonsalves, presidente quest’ultimo dello stato caraibico di Saint Vincent e Grenadine.
Un vertice caratterizzato dalla crisi istituzionale del Perù e dalla sanguinaria repressione messa in atto dalle autorità, ma anche dalla polemica assenza del presidente del Venezuela, Nicolas Maduro e dalle sfide commerciali che il blocco dei paesi latinoamericani dovrà decidere come affrontare nei prossimi anni. La spinta di Lula si è fatta sentire e proprio il nuovo presidente brasiliano ha voluto sottolineare nel suo discorso che saranno promossi tanto gli accordi bilaterali con i vicini così come il forte impulso di Mercosur, Unasur e Celac, attraverso “un fortissimo senso di solidarietà e vicinanza”.
Tra le assenze, come anticipato, quella di Maduro è stata la più notoria. Ci si aspettava l’arrivo in pompa magna del primo cittadino venezuelano, che avrebbe potuto così tornare a calcare uno scenario sudamericano di livello internazionale e riabilitare la sua immagine al fianco di Lula, pronto quest’ultimo a riallacciare le relazioni diplomatiche con Caracas. All’ultimo minuto Maduro però ha desistito. Le preoccupazioni per la sua sicurezza, le annunciate con manifestazioni contro la sua presenza e la ricompensa di 15 milioni di dollari (ancora vigente) della autorità statunitensi per la sua cattura vengono additate tra le cause di questa défaillance. Nonostante i suoi proclami, dunque, Maduro deve cedere alla realtà dei fatti e cioè che non può andare dove vuole, ma solo dove è protetto (Cuba, Russia e Algeria, per esempio).
Oltre a quella del presidente venezuelano, si sono registrate le assenze del suo alleato Daniel Ortega (presidente de Nicaragua), di Andrés Manuel López Obrador (presidente del Messico) e di Guillermo Lasso (presidente dell’Ecuador): tutti e tre hanno inviato i loro ministri degli Esteri. Neanche la presidente del Perù è stata presente, vista la crisi nella quale è sommersa Dina Boluarte in queste ore. E non sono arrivati nella capitale argentina neanche Xi Jinping e Joe Biden invitati da Alberto Fernández. I presidenti di Cina e Usa non hanno però perso l’occasione di essere presenti almeno indirettamente: così, mentre Xi Jinping ha inviato un video, Biden ha inviato il suo assessore speciale per la regione, ovvero Christopher Dodd. Nelle foto di famiglia spiccavano invece tra gli altri Gabriel Boric (Cile) e Gustavo Petro (Colombia), così come Miguel Díaz-Canel (Cuba), Luis Arce (Bolivia), Mario Abdo Benitez (Paraguay), Xiomara Castro (Honduras) e Mia Mottley (Barbados).
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Dal vertice è uscito un documento di 111 punti, già noto come la dichiarazione di Buenos Aires. Tra gli impegni che vengono presi dai 33 Stati membri si trova l’aggiornamento del Piano per la sicurezza alimentare, la nutrizione e lo sradicamento della fame, la continuità del Piano di autosufficienza sanitaria e il rafforzamento della produzione capacità e distribuzione locale e regionale di vaccini, medicinali e forniture essenziali. Oltre al documento principale sono state approvate nel vertice altre 11 dichiarazioni speciali, che includono temi delicati come la difesa della sovranità argentina sulle Isole Malvinas e la fine del blocco economico, commerciale e finanziario degli Stati Uniti contro Cuba. Sono state approvate anche una dichiarazione sulla lotta al traffico internazionale di armi e un’altra sulla promozione e conservazione delle lingue indigene.
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Importante anche l’approvazione di due cruciali incontri in agenda: il vertice Celac-Unione europea nel 2023 e il vertice del forum Celac-Cina nel 2024. Riguardo quest’ultimo punto, ancora Lula si è reso protagonista in un incontro con Louis Lacalle Pou (presidente dell’Uruguay) proprio per discutere sull’urgenza che il Mercosur chiuda un accordo con l’Unione europea prima di negoziare con la Cina (cosa che l’Uruguay sta facendo in modo bilaterale senza i suoi soci commerciali). Per finire in Uruguay non poteva mancare uno storico rincontro, quello tra Mujica e Lula, avvenuto nella casa del primo a Rincón del Cerro a Montevideo: una della immagini forti e cariche di simbolismo di questi giorni.