Fabio Savi, il capo dei killer della Banda della Uno bianca, non potrà lavorare fuori dal carcere. Lo ha deciso il tribunale di Sorveglianza di Milano, col collegio presieduto da Giovanna Di Rosa, che ha rigettato il reclamo presentato dai suoi avvocati, accogliendo così la richiesta della Procura nei confronti dell’uomo che dal 1994 si trova in carcere, oggi a Bollate. Nello specifico, i giudici non avrebbero riconosciuto come valido il percorso compiuto fin qui da Savi, anche sotto il profilo dei danni nei confronti delle vittime del gruppo criminale che tra il 1987 e il 1994 uccise 23 persone e ne ferì oltre 100.
La storia della Uno bianca è “una vicenda ancora aperta per poter parlare di sconti di pena e permessi”, ha affermato Ludovico Mitilini, fratello di Mauro, giovane carabiniere ucciso dalla banda insieme ai colleghi Otello Stefanini e Andrea Moneta il 4 gennaio 1991 al Pilastro di Bologna. “Noi familiari delle vittime – dice Mitilini – esprimiamo grande soddisfazione per la digitalizzazione degli atti. Ringraziamo la Regione Emilia-Romagna per la disponibilità economica e il procuratore Amato. Un obiettivo raggiunto grazie alla tenacia del presidente dell’associazione Rosanna Zecchi di cui condividiamo il pensiero quando afferma che ‘in ogni pagina di questa storia c’è qualcosa che non torna’, una vicenda che potrebbe aprire ulteriori scenari inquietanti”. Mitilini conclude dicendo che “non c’è perdono per gli uomini della banda della Uno bianca che agirono con una ferocia ai limiti dell’umana pietà, macchiandosi di delitti che terrorizzarono una precisa zona del nostro Paese e sui quali gli inquirenti stanno ancora indagando, così come affermato dal procuratore Amato in relazione a due esposti”.