A quarant’anni dal rapimento, l’apertura della prima inchiesta vaticana sul caso di Emanuela Orlandi coincide con la rielaborazione della pista inglese. “Mi ha dato documenti che sono legati alle situazioni di Londra e che vanno presi in un certo modo. Voglio approfondirli, perché potrebbero essere interessanti.” Le ultime dichiarazioni di Pietro, fratello della 15enne inghiottita nel mistero del lontano 1983, riportandoci nella capitale britannica ci forniscono la possibilità di rimodulare il controverso intreccio tra Londra e la Lazio, tra il fronte di liberazione turco anticristiano Turkesh e il pregiudicato Ilario Mario Ponzi, tra l’incolpevole calciatore Arcadio Spinozzi e la banda della Magliana, ma con una premessa d’obbligo: per orientarsi nel marasma di quest’incredibile vicenda sporca di spie, millantatori e depistaggi, anche un minimo dettaglio, la decifrazione di un messaggio criptato, scrostato dal resto torbido, può fornire un pezzetto utile alla composizione del complesso puzzle.
Perché nella faida tra opposte fazioni Oltretevere, vero snodo dell’enigma Orlandi, si dialoga pubblicamente in codici. Quasi sempre incomprensibili.
Arrestato ad Ancona pistola in pugno nel 1982 (gridando “Voglio vedere il Papa”) all’interno della Banca Nazionale del Lavoro per il sequestro di dieci persone (poi liberate, si dice, anche per via di una telefonata col segretario di Stato Vaticano Mons. Viganò), nel 1985 dalla procura del capoluogo marchigiano Ilario Mario Ponzi viene indagato come il postino del più chiacchierato comunicato Turkesh, spedito da Bari all’Ansa di Milano a quattro mesi dalla sparizione dell’Orlandi, 33 righe sgrammaticate, scritte a penna e in stampatello nel noto ricatto per la liberazione dell’attentatore di Papa Wojtyla, il turco Mehmet Ali Ağca.
La rivendicazione si rivelerà attendibile, su Ponzi invece l’accusa di diffusione di notizie false e tendenziose. “Emanuela era brava ragazza, noi la volevamo salvare, ma voi siete stati cattivi, lei non meritava… Suo corpo forse non lo trovate più, ma è Aliz che è stato orrendo, lui non può essere un turkesh, noi turkesh non uccidiamo… Scritto per Emanuela: io la amavo sua dolce voce. […] Perché non interrogate giocatore di Lazio Spinozzi? è stato lui a darci via di Emanuela e poi a fornirci primo rifugio”.
Assunta la paternità della busta francobollata per poi dichiararsi estraneo ai fatti, Ponzi viene scagionato perché ritenuto mitomane, vagliate perizie psichiche ma pure grafiche e una sua foto Polaroid allegata ad un altro comunicato: “Ilario Mario Ponzi è innocente. Può avere fatto qualche cosa ma non le cose dei seguenti comunicati Turkesh (…) gli innocenti sono Ilario Mario Ponzi, Mirella Gregori, Emanuela Orlandi. La colpa è di Papa Wojtyla”.
Nativo di Acquasparta Terme in provincia di Ascoli Piceno, Ponzi vive a Monteprandone, confinante con San Benedetto del Tronto, dove allo Stadio fratelli Ballarin parte la carriera dell’arcigno laziale Spinozzi. “Emanuela è in viaggio verso Parigi, interrogate Spinozzi, lui sa”, il contenuto della telefonata anonima presa il 7/9/83 da Gennaro Egidio, legale tuttofare delle famiglie Orlandi e Gregori. Scarcerato cinque mesi prima del rapimento delle adolescenti, Ilario Mario Ponzi passa gli otto mesi di reclusione nel supercarcere piceno di Marino del Tronto come vicino di cella di Ali Ağca, aspirazione pure dell’arresto a Roma (anche lui con pistola in mano) anche dell’altro autoaccusato Marco Fassoni Accetti (nel 2013 farà ritrovare il flauto di Emanuela).
Una telefonata sempre all’Ansa di Milano (5/9/83, “sono Turkesh, mi chiamo Aliz”), seguita da altre due lettere all’agenzia di stampa (24/10/83 e 10/11/83) e una nella sede della Lazio (28/10/83) continuano ostinatamente a tirare in ballo i biancocelesti, allegati una ciocca di capelli scuri e un braccialetto in metallo, affiancati a Spinozzi i nomi di Guido Valenzi (“Spinozzi ci fu presentato da Guido Valenzi che conoscemmo a Firenze nel febbraio ’80”) e Sergio Guenza (“Sergio Guenza Morte”).
Domanda: “Arcadio Spinozzi, dopo 40 anni ti sei fatto un’idea sul perché ti tirarono in ballo con la Lazio?”, gli ho chiesto intervistandolo a pochi giorni dall’apertura dell’inchiesta vaticana. Ho provato a capirci, trasportato dai codici: cresciuto nel vivaio, Valenzi è un centravanti della Primavera, nel 1978 autore dell’unica rete in Sambenedettese-Lazio 0-1. Nel 1983 Guenza è invece l’allenatore in seconda dell’allenatore Giancarlo Morrone. A Bari (da dove parte la lettera Turkesh) il 5 ottobre 1983 gioca l’Italia di Bearzot, amichevole contro la Grecia vinta 3-0 con rete (l’unica in azzurro) del laziale Bruno Giordano. Che vuol dire?
Implicato nelle combine del calcioscommesse ‘80, nelle giovanili Giordano è cresciuto sotto l’ala protettrice di mister Guenza. Spinozzi è un ex Samb a cui Valenzi segna il gol vittoria a San Benedetto del Tronto, epicentro dove vive Ponzi. Il 1980 è poi l’anno citato nel comunicato per la richiesta di liberazione del terrorista turco: oltre la facciata di Trinca e Cruciani, è noto come nella Capitale il totonero fosse gestito dalle mafie.
Se la somma fa il totale, la sintesi dice quindi Aliz come anagramma incompleto di Lazio, Spinozzi-Valenzi come Marche, provincia marchigiana di Ascoli Piceno come super penitenziario in cui è recluso Ali Ağca (e Ponzi), Guenza per dire Giordano, il bomber trasteverino per dire a sua volta l’ex moglie Sabrina Minardi fidanzata con Enrico (Renatino) De Pedis, che inequivocabilmente significa banda della Magliana. Lo so bene. E’ un po’ contorto e complicato, ma ci può stare.
E tutto torna e finisce a Londra. Anche perché, nonostante smentite di circostanza sul web (“molte falsità e calunnie fuori d’ogni logica”), sia il libro Assassini in libertà di Max Parisi (prefazione dell’ex magistrato Otello Lupacchini) sia Gian Marco Chiocci scrivono di Ilario Mario Ponzi esule londinese che “frequenta l’ambasciata italiana e un alto prelato cresciuto all’ombra di Marcinkus che lo avrebbe aiutato nella latitanza”, mentre quando stava a Roma viveva a Piazza Vescovio, “dirimpetto il garage frequentato da illustri personaggi del processo alla Magliana e del delitto Calvi, garage nel quale il funzionario del Sisde, Giulio Gangi, rintracciò l’auto del sequestro”, la Bmw verde nella quale il 22 giugno 1983 Emanuela Orlandi viene vista salire davanti la basilica di Sant’Apollinare; da dove, tra l’indignazione e le polemiche, nel 2012 verrà riesumata la salma del Dandy, il boss De Pedis (alias Minardi-Lazio-Giordano-Guenza-Valenzi-Spinozzi-Marche-San Benedetto del Tronto-Marino del Tronto- Ponzi-Ali Ağca). Usque ad finem Londinium.