A 24 ore dal blitz delle forze israeliane nel campo profughi, costato la vita a 13 persone, si consuma una strage nel quartiere di Neve Yaakov: un palestinese ha agito in due fasi prima di essere ucciso dalle forze di sicurezza israeliane. Una reazione rivendicata dalla Jihad islamica che ha definito la strage come "una operazione eroica"
Un attentato in due fasi a Gerusalemme, venerdì sera, ha provocato almeno 7 morti e una decina di feriti. Una “vendetta”, la definiscono Hamas e Jihad islamica, per quanto avvenuto a Jenin giovedì. La sparatoria, iniziata davanti a una sinagoga e proseguita poco distante, è avvenuta nel quartiere ortodosso di Neve Yaakov e l’attentatore – che le forze di sicurezza hanno identificato in Alkam Khairi, ventunenne senza nessun precedente di affiliazione politica, anche se altre fonti parlavano di un’altra persona affiliata ad Hamas – è stato ucciso poco dopo dalla polizia, ora alla caccia di suoi possibili fiancheggiatori.
Dopo aver sparato, secondo le prima ricostruzioni, è scappato a bordo di una vettura verso una zona vicina a prevalenza araba della città. Raggiunto dagli agenti – secondo la stessa fonte – ha sparato ai poliziotti prima di essere colpito a sua volta. L’attentato arriva all’indomani del blitz delle forze israeliane nel campo profughi di Jenin costato la vita a 13 palestinesi e a una notte segnata dal lancio di razzi da Gaza verso il sud di Israele. La reazione è stata rivendicata dalla Jihad islamica che ha definito la strage come “una operazione eroica”.
Mentre Hamas ha affermato che si è trattato di una “vendetta per i morti di Jenin”, riferendosi alle vittime degli scontri con l’esercito: “Salutiamo l’azione jihadista e di resistenza nella città di Gerusalemme. L’eroica operazione arriva come vendetta per i martiri di Jenin”, ha dichiarato il portavoce di Hamas, Hazem Qassem. “L’operazione è una risposta naturale al crimine dell’occupazione a Jenin”, ha rimarcato.
Il portavoce della Jihad islamica, citato dai media, ha aggiunto che l’attentato “dimostra che si è saldato un fronte unico che include Gerusalemme, la Cisgiordania e Gaza”. Nell’apprendere dell’attentato di Gerusalemme, manifestazioni spontanee di gioia si sono avute in diverse città palestinesi. Cortei di persone in festa sono stati segnalati a Jenin, Nablus e Ramallah, dove dolciumi sono stati distribuiti ai passanti. Scene di euforia si sono avute anche a Gaza City e a Rafah, nel sud della Striscia.
Nelle ore successive il premier israeliano Benyamin Netanyahu – circondato da un cordone di agenti di sicurezza – ha visitato il luogo dell’attentato, accompagnato dai comandanti della polizia di Gerusalemme e dal ministro per la sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, che lo hanno aggiornato sugli sviluppi delle indagini della polizia e sulle ricerche dei possibili fiancheggiatori dell’attentatore. Alla sua vista abitanti del rione hanno scandito ripetutamente: “Morte ai terroristi”.
Espressioni di entusiasmo popolare anche nel campo profughi palestinese di Shuafat, a Gerusalemme est, che si trova a breve distanza dal rione ortodosso di Neve Yaakov dove è avvenuta la strage. Immediata la condanna degli Stati Uniti che hanno definito l’azione come un “orribile” attacco “terroristico”, sono state le parole usate dal portavoce del Dipartimento di stato americano Vedant Patel. Di un “atto di terrore” si è trattato per il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha quindi sottolineato come sia “ancora più orrendo nel giorno in cui commemoriamo la Shoah”. Successivamente è stata direttamente una nota di Palazzo Chigi a condannare “con forza il vile attentato terroristico” di Gerusalemme esprimendo il “cordoglio e la vicinanza” del governo “allo Stato d’Israele e a tutto il suo popolo”.