Diciassette miliardi di dollari. A tanto ammonta uno dei dividendi della guerra in Ucraina per l’industria degli armamenti statunitensi. I dati sono stati diffusi dal dipartimento di Stato degli Stati Uniti e segnalano come il valore delle esportazioni di armi americane, autorizzate da Washington, abbia raggiunto nel 2022 i 52 miliardi di dollari, in rialzo del 49% rispetto ai 35 miliardi del 2021. Non vi rientrano le armi e munizioni fornite direttamente dagli Usa che come tali non rientrano nei dati sull’export. Il “merito” va soprattutto alla Germania che ha comprato prodotti made in Usa per 8,4 miliardi, seguita dalla Polonia (6 mld) con il maxi ordine di 250 carri armati Abrams. Berlino è impegnata in un importante piano di riarmamento per cui sono stati messi a bilancio 100 miliardi di euro. La Finlandia ha comprato missili tattici e missili terra – aria per circa 600 milioni di dollari. Ordini di missili e razzi da mezzo miliardo di dollari dalla Lituania, dall’Olanda (1,2 miliardi) , dalla Norvegia (950 milioni), dall’Estonia (500 milioni) e dal Belgio (380 milioni). Si è mossa persino la Svizzera con un ordine da 700 milioni di dollari per missili patriot.

Molte commesse provengono dai paesi del Medio Oriente mentre dall’Indonesia sono arrivati ordini da 14 miliardi per jet militari F15. Negli Stati Uniti operano i tre colossi della difesa Lockheed Martin, Raytheon Technologies e Northrop Group. Anche Boeing ha una divisione dedicata all’industria militare. I produttori di armi hanno registrato ricavi in decisa crescita e nel 2022, nonostante i cali generalizzati dei listini, hanno messo a segno buone performance di borsa. I titoli Raytheon sono saliti del 10%, quelli Lockheed quasi del 20% così come le azioni Northrop. Dinamiche non diverse hanno interessato peraltro anche aziende europee, l’italiana Leonardo ha chiuso il 2022 con una crescita di circa il 50%, la tedesca Rheinmetall (che costruisce anche i carri armati Leopard e i Panther) ha più che raddoppiato il suo valore.

Ieri Lockheed Martin ha affermato di essere pronta a soddisfare la domanda di nuovi jet F16 per Kiev sollecitando i governi occidentali a compiere questo passo. In realtà le cancellerie sono prudenti su questa ulteriore escalation nei confronti di Mosca e sinora la Casa Bianca ha respinto le richieste ucraine per forniture di jet militari temendo che possano essere usati per colpire il territorio russo. Un no è arrivato anche dal governo tedesco. L’amministratore delegato di Lockheed Martin Frank St. John, ha però precisato che la società “aumenterà la produzione di F-16 a Greenville, nella Carolina del Sud, per essere in grado di assicurare forniture supplementari per tutti i paesi che scelgono di effettuare trasferimenti di terze parti per aiutare con il conflitto in corso”. Il costo unitario di un F16 nella sua versione Block 70/72 (la più avanzata) è di 64 milioni di dollari.

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