Liliana Segre ha ragione: “Tra qualche anno ci sarà una riga sui libri di storia e poi non ci sarà nemmeno più quella”. Lo dico da maestro. Lo denuncio da insegnante. Anzi lo urlo: a far scomparire la memoria dell’Olocausto e della Shoah sarà la scuola. Perché non basta nemmeno la riga sui libri di storia ma chi sta in aula ha il dovere, di fronte alla più grande tragedia del Novecento, di saperne più di un testo, di aver letto più di un libro sulla questione, di aver visitato almeno una volta nella sua vita un campo di concentramento e/o di sterminio.

Trovo, invece, sempre più spesso classi in terza, quarta o quinta primaria che non ne sanno nulla. Incrocio ragazzi della secondaria che confondono Fossoli con Auschwitz-Birkenau; studenti delle superiori che non sanno che sono stati ammazzati, oltre che gli ebrei, i disabili, gli omosessuali, i testimoni di Geova, i rom. Ma la “colpa” non è dei ragazzi ma della scuola. Nemmeno della famiglia. Mio padre e mia madre, licenza elementare alle spalle e un’immensa innocenza (almeno me lo auguro) ignoranza culturale, non mi hanno mai parlato dello sterminio compiuto dai fascisti.

Se sono stato più volte ad Auschwitz-Birkenau, è merito di qualche libro che mi son trovato tra le mani in libreria (diamo atto dell’ottimo lavoro dell’editoria e di chi scrive di Olocausto e memoria), della tv (diamole qualche merito, quando è da assegnare) e della cinematografia (chi non è cresciuto con La vita è bella o con Il bambino con il pigiama a righe?).

La famiglia, anche oggi, qualche volta (sempre più spesso) non c’è. E’ assente. C’è un problema nel Nord Italia di povertà assoluta culturale, non economica! Conosco famiglie di miei alunni che non hanno un solo libro sulla Shoah in casa o che non leggono un quotidiano, un settimanale. Non guardano nemmeno il telegiornale ma si informano attraverso i social di Matteo Salvini o Giorgia Meloni.

E’ la scuola che deve fare di più.
E’ dovere dell’Istruzione, dei presidi, dei maestri, dei professori, incarnare l’articolo tre della Costituzione.

Eppure ho sentito in questi anni chi mi ha detto: “Fallo tu che te ne intendi”. Tutti gli insegnanti si ne devono intendere. Dovrebbero sentirlo nel loro Dna e se non è così deve diventare una conoscenza “obbligatoria” per chi entra in un’aula.
Un docente deve sapere quanto è accaduto e deve saperlo insegnare.

La scorsa settimana a Milano, il ministero dell’Istruzione ha organizzato un seminario regionale su “Conoscere, prevenire, contrastare. Le Linee-Guida per il contrasto all’antisemitismo”. Presenti: quindici docenti su tutta la regione.
Tutti hanno fatto il loro dovere: il ministero ha organizzato il corso, i presidi hanno “girato” la mail ai docenti, quest’ultimi l’hanno letta. La questione è che nessuno ha sentito il dovere di ascoltare Liliana Segre. Per un dirigente, nel 2023, è più importante rendere obbligatoria la formazione sulla privacy che il corso sulla Memoria!

Persino i libri di scuola sono colmi di errori. Non si tratta di equivoci ma di gravi sbagli che non possono essere tollerati. In un testo di quarta dei miei alunni ho letto che Auschwitz è un campo di concentramento e non come sarebbe corretto definirlo di sterminio. Ma come è possibile? Eppure i libri di scuola vengono adottato con tanto di riunione del collegio docenti. Come può accadere che un preside non prende a caso in mano – come ho fatto io – un libro e prova a vedere cosa si dice di questa tragedia?

Sento già le voci di chi mi dirà: “Ma noi abbiamo organizzato il viaggio della Memoria….”. Non basta. Non è sufficiente. Ad Auschwitz-Birkenau porti cento, duecento ragazzi. E gli altri? A parole non trovi un preside che non sia d’accordo sull’importanza della “Giornata della memoria” ma nella concretezza son pochi a preoccuparsi che ogni loro docente o loro, in primis, abbiano letto un libro di Liliana Segre, un articolo di Marcello Pezzetti, ascoltato le sorelle Tati e Andra Bucci o siano andati alla risiera di San Sabba.
Di fronte a questa tragedia nella tragedia c’è una sola strada: ogni insegnante dovrebbe essere obbligato ad andare in un campo di concentramento o sterminio.

Solo così possiamo tentare di rendere vano il pessimismo della senatrice a vita.

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