Il “ghetto modello che vuole Berlino”. Terezin, il film oggi nelle sale, è il contrappunto melodico meno conosciuto nel mare magnum della memoria dell’Olocausto. Girato nel vero e tragico campo di detenzione di Theresienstadt, a 60 km a nord di Praga nella Repubblica Ceca, l’opera prima di Gabriele Guidi racconta e rievoca la detenzione e la vita nel ghetto voluto dal Fuhrer dove vennero convogliati molti artisti, musicisti, pittori, scrittori della mitteleuropa dei primi decenni del ‘900. I dati crudi tra il 1941 e il 1944: 144mila imprigionati, 33mila morirono di cause naturale nel ghetto, 88mila vennero deportati nei campi di concentramento di Auschwitz, Bergen Belsen, Treblinka, poco più di 17mila i sopravvissuti. Poi c’è il film, scritto da Ennio Speranza, Alessandro Zannoni e lo stesso Guidi (figlio di Johnny Dorelli e Catherine Spaak ndr), che si innesta con rispetto dentro la “storia” seguendo la traiettoria di Antonio (Mauro Conte), clarinettista italiano e Martina (Dominika Zelenikova), violinista cecoslovacca, giovani amanti nel centro artistico e culturale dell’Europa prima che il nazismo ne schiacci pulsazioni e gloria.
I due vengono deportati a Terezin, ovviamente separati, anche se con gli sguardi si sfiorano tra le antiche camerate della fortezza ottocentesca: lui ai lavori pesanti nei campi come tutti gli uomini, lei aiuterà a gestire un gruppo di bambini ebrei. E se all’orizzonte sembra esserci solo l’idea vaga di una morte probabile (c’è una lista continuamente da preparare per trasferire i deportati nei campi di concentramento), ecco che a Terezin fiorirono subito, e con l’appoggio delle SS, che tennero pronto quel ghetto per essere mostrato all’ipotetica visita della Croce Rossa, espressioni artistiche di eccellenza, tra cui un’orchestra ri-composta con grandi nomi della musica sinfonica e della lirica dell’epoca deportati a Terezin, orchestra che in pochi mesi metterà in piedi esecuzioni di pregio: tra queste una dozzina di versioni del Requiem di Verdi. “La “qualità” di vita più alta rispetto agli altri ghetti ebrei dell’epoca voluta dai nazisti mi ha concesso un piccolo “errore” storico: non mostrare i soliti prigionieri smagriti e mantenere il dolore straziante dell’Olocausto sullo sfondo”, spiega Guidi a FQMagazine. “Ho quindi voluto mettere da parte alcuni stereotipi emozionali come l’amore, la paura, il dolore, per creare un filo emotivo attraverso la musica che viene eseguita dai musicisti deportati. C’è un dato che mi ha sconvolto quando abbiamo ricostruito nei dettagli questo caso storico: molti deportati che stavano per essere spediti nei campi di concentramenti prima di salire sui treni più che salutare gli amici preferivano attendere il termine delle rappresentazioni teatrali e musicali che si stavano eseguendo a Terezin”.
Del resto pare che Himmler in visita al ghetto di Terezin nel 1944 si lamentò del fatto che quel luogo fosse diventato ingestibile in quanto continuava a “sentire un concerto in ogni angolo”. A Terezin, tra gli altri, furono deportati il celebre direttore d’orchestra Rafael Schachter e il compositore Hans Krasa e lì vennero composte 3 opere: una di queste, il Brundibar, viene ancora riproposta ai giorni nostri. “La direttrice del polo museale di Terezin, a breve patrimonio mondiale dell’Unesco, quando iniziammo le riprese lì mi disse che ogni volta che loro compiono degli scavi sembra di stare a Roma dove vivo io: tra muri, terreni, soffitte scoprono continuamente pentagrammi, disegni e manufatti, tutte tracce di quello che i deportati artisti producevano all’epoca e che il tempo nonostante la violenza dell’Olocausto non ha mai cancellato”. Terezin ha richiesto una preparazione di quasi otto anni e nel cast ci sono anche Alessio Boni, Cesare Bocci e Maia Morgenstern (Maria in The Passion di Mel Gibson). Lavoro di qualità e sostanza del compositore Emanuele Frusi con un soundtrack che finirà sotto etichetta Universal.