Vuoi ancora polpette al sugo? Ecco una tipica frase di nonna quando vai a pranzo da lei. Traduzione: se ne mangi fino a scoppiare significa che stai benone! Ma oggi il dubbio è lecito: e se fossero vegane? “Mangia e basta”, ti direbbe la nonna abituata a badare al sodo. Le ricette della tradizione italiana in chiave vegetale sono proprio così: hanno il sapore, il profumo e la consistenza di quelle a cui siamo abituati, ma senza ingredienti di origine animale.
Sarah Joyce, folgorata dalla cucina vegana in Portogallo durante l’Erasmus, nel libro “Un pizzico di joy” parte proprio da questo presupposto: il godimento della tradizione culinaria made in Italy non deve per forza essere legato al consumo di carne e a prodotti di derivazione animale. Reinventare e reinterpretare la nostra tradizione in chiave vegetale è possibile. Anzi, è una necessità che diventa sempre più urgente oggi.
Appena sfornato da Rizzoli il libro raccoglie, oltre al personale racconto dell’autrice, 50 prelibatezze ispirate alla tradizione del Bel Paese, gustose e scenografiche. Talmente familiari da evocare nella mente e sulle papille gustative di chi le realizza o le assaggia generazioni di nonne (spiace dire che in passato gli uomini raramente si dedicavano alla cucina) dedicate al salutare impasto per polpette e ravioli.
Seguitissima sui social come Joysonfire, Sarah Joyce ama definirsi, per l’appunto, “La nonna vegana del futuro”. E già nelle prime pagine spiega bene il concetto: “Quell’ideale romantico di signora con le mani in pasta… ecco, io voglio essere la nonna vegana del futuro, quella che la domenica sforna piatti profumati, belli conditi e colorati e che per chiederti se stai bene ti dice: vuoi un’altra polpetta?”.
Seguendo il suo percorso tutti possiamo diventare maghi vegani della cucina italiana regionale. E non è poi neanche troppo impegnativo. Basta prendere esempio da quella persona che in tutte le famiglie tramanda ai posteri, figli, nipoti e amici, i segreti della nostra tradizione e ridisegnarne i confini. “La cucina vegetale – racconta – può assumere tante forme ed essere in armonia con la nostra storia. E’ una cucina, o forse sarebbe meglio dire una visione del mondo, che restituisce agli animali dignità, compassione e rispetto, ma allo stesso tempo non stravolge né rinnega canoni antichi”. La parola chiave? Dal Nord al Sud alle Isole è reinterpretazione.
Escludere il consumo di animali e dei loro prodotti dalla nostra tavola non va a discapito del gusto? “Ho colto il vero potenziale della cucina nel momento in cui ho iniziato a ridisegnarne i confini, quando da un giorno all’altro ho eliminato buona parte di quello con cui avevo cucinato fino ad allora”, precisa. E aggiunge: “Ma, soprattutto, ho iniziato a pensare al cibo come qualcosa di incredibile nel momento in cui mi sono resa conto che un semplice ingrediente può diventare qualsiasi cosa”.
All’inizio del suo percorso, che implica il rispetto dell’ambiente che ci circonda, Sarah racconta che non sapeva bene da dove iniziare. Non riusciva a capire, per esempio, come ottenere la stessa cremosità senza utilizzare il formaggio, la stessa sapidità senza utilizzare la carne. “Bisogna riorganizzare tutto – ammette – e in un certo senso è come imparare a cucinare di nuovo”.
Il suo viaggio comincia con una parte dedicata all’autoproduzione dei preparati di base: il sostituto dell’uovo, lo stracchino, la ricotta, la mozzarella, la pancetta e il macinato. Poi prosegue con la descrizione delle ricette tipiche della penisola, fra una focaccina ligure e un involtino palermitano, una caponata e una parmigiana di melanzane. Tutti i piatti sono reinventati, ovviamente, con ingredienti vegetali. Ma sono tutti riconducibili, per sapore e consistenza, ai piatti di cui sentiamo la mancanza quando siamo lontani e ritroviamo ogni volta che torniamo a casa. “I confini della nostra tradizione non sono mai stati così ampi, morbidi, aperti – svela – e non ho alcuna intenzione di stravolgere la cucina meravigliosa del mio Paese, ma solo di rimodellarla”.
Arancini siciliani, agnolotti piemontesi, patè e lasagne alla bolognese nel libro di Sarah sono accessibili a tutti. Si va dagli antipasti e piatti unici fino ai primi, secondi e dessert. Le ricette sono dettagliate per costo, difficoltà e tempo di esecuzione, da realizzare con ingredienti reperibili ovunque, dal supermercato ai negozi biologici o asiatici. Sicuramente online. “La cucina vegana deve essere accessibile e accogliente – puntualizza – non deve richiedere troppi compromessi né di gusto né di abitudini. Possiamo continuare a mangiare tutto quello che abbiamo sempre amato”.
Il mercato è pronto per accogliere questo cambiamento? “Al nuovo servono sostenitori”, dice riferendosi al film Ratatouille. “Possiamo utilizzare la fantasia e l’ingegno per offrire alternative che rispettino la terra e le risorse di cui disponiamo che, ahimè, non sono infinite”. La nuova possibilità in cucina che l’autrice illustra nel suo libro, però, non arriva dalla sua famiglia in senso lineare. Ma in maniera assolutamente sorprendente, con un rovesciamento di situazione che Sarah chiama “la maledizione della cucina nera”.
Questa parte del suo racconto è divertente e significativa. La racconta così: “Mamma e nonna hanno entrambe tante meravigliose qualità ma in una cosa sono tutte e due un vero disastro: l’abilità in cucina”. E tanto per non farci mancare i dettagli, aggiunge: “Mamma rimprovera spesso a nonna di non aver mai cucinato e nonna nega spudoratamente, ma io so per certo che è stata proprio nonna la prima regina dei prodotti pronti surgelati. I suoi piatti forti: prosciutto e mozzarella, toast, pizza surgelata”.
La maledizione della cucina nera, sostiene l’autrice, è passata dalla nonna alla mamma per via diretta. Racconta: “Ricordo quella volta in cui ha fatto l’insalata di riso calda. Era agosto e lei ha preparato un’insalata di riso come se fosse un risotto… veramente disturbante. Oppure quella volta in cui avevamo ospiti a cena e lei voleva condire la pastacon le verdure scongelate del minestrone. Il suo pressappochismo in cucina è per me devastante, ma allo stesso tempo mi diverte ed è fonte di grande ispirazione”. Può sembrare strano, allora, ma anche di questo Sarah Joyce è grata alla sua famiglia. “Probabilmente se loro avessero amato la cucina io, per la legge del contrappasso, non l’avrei mai amata così tanto e adesso, forse, non sarei qui a scrivere questo libro”. Ecco la rivincita.