di Michele Versace

Lo scorso anno è stato il più siccitoso degli ultimi due secoli. Quello che è appena cominciato potrebbe essere come quello appena trascorso o forse anche peggio. Nella mia città i parchi pubblici hanno perso circa il 10% degli alberi a causa della siccità, quasi tutti erano faggi, oltre a molti arbusti di lauro e forsizia. Forse sarebbe il caso di sostituire nei parchi cittadini quel tipo di piante con altre più resistenti ai periodi di siccità.

Forse, allo stesso modo, sarebbe il caso di sostituire alcune coltivazioni con altre, ovvero, per far fronte all’inaridimento del clima. Ci converrebbe cambiare le nostre abitudini alimentari, e ridurre il consumo di carne, che ci impone la coltivazione di mais in enormi quantità per farne mangimi. E il mais necessita di grandi quantità di acqua, così come l’allevamento di maiali o altri animali da trasformare in bistecche.

Se si tornasse a coltivare il grano al posto del mais (come avveniva quando ero bambino, non più di 40-50 anni fa) non sarebbe necessario privare i corsi d’acqua e le falde, di milioni di metri cubi d’acqua, riducendo gli effetti catastrofici conseguenti alla carenza di precipitazioni. E se si approntassero delle cisterne per raccogliere e utilizzare le cosiddette bombe d’acqua, di un clima che via via si sta tropicalizzando, l’agricoltura italiana e non solo potrebbe far fronte a disagi che altrimenti diverranno a breve insostenibili.

Temo però che quanto auspico non si realizzerà mai, o quando sarà troppo tardi, perché ogni cambiamento avvantaggia qualcuno e penalizza qualcun altro e in questo caso a essere penalizzati sarebbero coloro che fanno profitti sul commercio della carne e suoi derivati, perché come diceva J. M. Keynes: “quel che è giusto non è utile, e quel che è utile non è giusto!”.

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