Le banche sono fornitori di denaro le cui condizioni di offerta sono forzatamente trasparenti. Ma i piccoli imprenditori non lo sanno e soccombono sistematicamente nelle trattative.

Fermi tutti, non sono impazzito: non ho detto che le banche sono diventate leali, ma ribadisco che si tratta di uno dei pochi venditori di una materia prima obbligato, dalla legge, a mostrare al proprio cliente con chiarezza le condizioni dell’approvvigionamento. Il problema, piuttosto, sta dall’altra parte del rapporto negoziale: il piccolo imprenditore è ignorante in materia finanziaria, non sa leggere le opportunità concesse dalla legge ed è down psicologicamente nelle trattative con gli istituti di credito.

Un piccolo imprenditore che produce calzature conosce tutto del mercato delle pelli, delle tomaie, delle suole e delle fibbie: costi della materia prima, andamento dei prezzi all’ingrosso, modalità di pagamento e dinamiche contrattuali. Se, però, allo stesso imprenditore che ha bisogno di un finanziamento per l’acquisto di un macchinario chiedete il valore dell’EurIrs o Euribor, parametri fondamentali per stabilire poi il prezzo (tasso) di acquisto del denaro, vi guarda inebetito come se steste parlando in aramaico.

Ecco dove sta il problema: in molti settori, soprattutto dopo la pandemia, l’equilibrio di potere negoziale si è spostato sensibilmente dai compratori ai fornitori. E le banche sono sicuramente il fornitore con cui è più difficile raggiungere un accordo. Anzi, quasi sempre le aziende non tentano neppure di fare una trattativa per la loro intrinseca debolezza di competenze. Un fornitore, infatti, è potente quando il compratore è debole in termini di competenze o è nuovo in quel mercato. A prescindere dal motivo, le aziende che si trovano in una posizione di debolezza rispetto ai fornitori devono affrontare la situazione in maniera strategica. E l’esperienza mi insegna che nei confronti di tutti gli altri fornitori (che non siano le banche), i piccoli imprenditori riescono a stabilire diversi approcci secondo una dinamica di rischio ascendente.

Dapprima cercano di offrire nuovo valore al fornitore con l’obiettivo di ribilanciare l’equazione di potere e trasformare una semplice transazione commerciale in un partenariato strategico facendo, ad esempio, da porta d’accesso per nuovi mercati e offrendo al fornitore, in cambio di una riduzione dei prezzi, un’opportunità di mercato troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. Poi cercano di cambiare le modalità di acquisto, ad esempio accorpando gli ordini attraverso consorzi d’acquisto con altre imprese del loro settore. Poi utilizzano la strada della ricerca di un nuovo fornitore e infine, se tutto il resto non ha funzionato, come ultima spiaggia passano alle maniere forti (contestazioni e cause giudiziarie).

Qualsiasi opzione gli imprenditori scelgano manifestano, quasi sempre, una comprensione chiara del problema, la capacità di affrontarlo in modo interfunzionale, una disponibilità a ragionare fuori dagli schemi e solide capacità analitiche che consentano di avere un’immagine chiara e complessiva del funzionamento dell’azienda che genera indicazioni utili. Con questi elementi in campo, molto spesso quella che sembrava una negoziazione impossibile diventa semplicemente una sfida impegnativa.

Con le banche no, tutto questo non avviene perché non si conosce nulla di quel mercato: il buio assoluto. Eppure il costo all’ingrosso di quella materia prima, il denaro, è ben individuabile, in maniera molto più chiara di quanto non avvenga su altri mercati. Se proprio sei fuori dal mondo, basta cliccare su Google “tasso di riferimento Bce, Euribor o EurIrs”. Non solo, ma quel fornitore, contrariamente a quanto avviene con altre fonti di approvvigionamento, nel caso in cui voglia modificare unilateralmente le condizioni contrattuali, ti deve avvisare 60 giorni prima della applicazione dei nuovi prezzi per consentirti, in questo lasso di tempo, di andare a negoziare l’accettazione o la rinuncia dei nuovi requisiti d’affari.

Infine, non tutti sanno che le banche sono gli unici fornitori a doverti far sapere con un anno di anticipo quanto ti costerà, più o meno, l’approvvigionamento di denaro. Nel documento di sintesi ricevuto, di solito entro il mese di gennaio al fine di evitarti di fare calcoli assurdi analizzando le centinaia di voci di costo di un estratto conto, gli istituti di credito sono obbligati a indicare il Taeg (Tasso Annuo Effettivo Globale), cioè un prezzo indicativo della spesa annuale che, in relazione alla quantità di denaro utilizzata, verrà sostenuta dalla piccola impresa.

La consapevolezza dell’ignoranza, talvolta, è la peggiore delle inefficienze.

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