Cultura

Leggi razziali, il Duce cominciò dalla scuola. La storia dei 58 studenti espulsi dal liceo Visconti di Roma. “Quel giorno scoprii di essere ebreo”

"Scuola negata" (ed. Biblion) è frutto di un intenso lavoro di ricerca della professoressa Romana Bogliaccino e narra una storia simbolo di ciò che accadde agli alunni dopo il 1938

di Francesco Lo Torto

Quando il 5 settembre del 1938 viene pubblicato il Regio Decreto Legge n. 1390 dal titolo “Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista”, i ragazzi del liceo Ennio Quirino Visconti di Roma sono ancora in vacanza. Si tratta dell’istituto più antico della Capitale, fondato dopo l’annessione della città al Regno d’Italia nel 1870. Meno di un mese e mezzo dopo il primo atto delle leggi razziali, centinaia di giovani studenti dagli undici ai diciotto anni varcheranno il portone della sede dell’antico Collegio Romano, nell’omonima piazza, a pochi passi dall’antico ghetto ebraico. Ma all’appello del 16 settembre del Visconti mancheranno 58 studenti ebrei, cancellati per legge dai registri scolastici. Le loro storie sono state raccolte dalla professoressa Romana Bogliaccino nel libro Scuola negata. Le leggi razziali del 1938 e il liceo Ennio Quirino Visconti, edizioni Biblion. L’opera, frutto di un intenso lavoro di ricerca dell’autrice, ha l’obiettivo di porsi come paradigma di ciò che è successo nelle scuole italiane a partire dall’emanazione delle leggi razziali del 1938. L’esempio del Visconti, con le sue 58 espulsioni – il numero più alto registrato tra tutti gli istituti del Paese -, è perfetto per descrivere cosa avvenne nei sette lunghi anni di persecuzione.

“Il nostro duce non farebbe mai”: sebbene nei caldi mesi estivi del 1938 l’aria iniziasse già a diventare irrespirabile per gli ebrei italiani, Angelo Della Seta non riusciva a rassegnarsi alla deriva antisemita del Partito Nazionale Fascista. Come altri ebrei romani lo aveva considerato a lungo un regime amico. Per questo rispondeva spazientito ai clienti del negozio di tessuti in piazza delle Cinque Scole che gli domandavano cosa ne pensasse delle politiche di Mussolini. E, invece, come racconta nel libro suo nipote Roberto, “il duce lo fece” e di lì a poco Piero Della Seta – padre di Roberto e figlio di Angelo – fu costretto ad abbandonare i banchi del Visconti. Il fascismo con le leggi razziali ricordò a tutti la loro identità ebraica. Anche a quelle famiglie che, nel corso delle generazioni, avevano perso il legame profondo con la religione e non erano più osservanti. “Mi sono reso conto di essere ebreo quando mi hanno espulso”, racconta una testimonianza raccolta nel libro. Parole che ritornano spesso nei racconti dei bambini segregati: la stessa cosa ha sempre detto anche la senatrice a vita Liliana Segre.

La svolta antiebraica, voluta da Mussolini fin dalla metà del 1936, iniziò a concretizzarsi proprio nell’estate del ’38. Partì dalla scuola, considerata la misura della vita morale del Paese. Escludere insegnanti e alunni ebrei nel corso dell’anno scolastico avrebbe comportato troppi problemi. Così, all’inizio di settembre, i vertici del Pnf diedero il via al progetto di cosiddetta “arianizzazione totale” del mondo scolastico, escludendo gli ebrei dagli istituti del Regno. Prima del ’38 non c’erano tante differenze a scuola tra persone di religione diversa. Gli ebrei erano molto integrati nella società, anche a livello culturale. Un esempio di questa integrazione è rappresentato dall’amicizia tra l’ebreo Benedetto Levi e il cattolico Benedetto Bartoleschi che l’autrice ha ricostruito in Scuola negata. “A raccontarmi la loro storia – spiega Bogliaccino – è stata Alessandra Levi. È la figlia di Benedetto Levi, ex alunno espulso nel 1938, e di Noretta Piperno Levi che, dopo aver presentato la richiesta allo Yad Vashem (l’Ente nazionale per la memoria della Shoah di Gerusalemme, ndr), ha ottenuto nel 2005 il riconoscimento del titolo di ‘Giusti tra le Nazioni’ per Benedetto Bartoleschi, il compagno di scuola di Benedetto Levi, e per la sua famiglia”. Nata sui banchi del Visconti, l’amicizia tra i due Benedetto è durata tutta la vita.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e l’invasione di Roma da parte dei nazisti, Benedetto Levi, come altri ebrei romani, trovò rifugio fra le mura di un convento, riuscendo a salvarsi dal terribile rastrellamento del ghetto del 16 ottobre. Ma nell’aprile del ’44 arrivò la notizia che i tedeschi avrebbero fatto presto irruzione nel convento: è a questo punto che Benedetto Levi chiese aiuto al suo amico. La famiglia Bartoleschi lo accolse nella sua casa, con tutti i rischi del caso, e lì lo protesse fino al giorno della Liberazione della Capitale, il 4 giugno del 1944.

Liberazione a cui non hanno potuto assistere Giancarlo Della Seta e Lello Frascati. Anche loro espulsi dal Visconti nel ’38, il 16 ottobre del ’43, i due giovani – Giancarlo con il padre e Lello con tutta la sua famiglia – furono catturati dalle truppe nazifasciste. Stipati in un convoglio alla stazione Tiburtina, arrivarono dopo sei giorni di viaggio a Auschwitz-Birkenau. Delle 1.023 persone deportate in seguito al rastrellamento del ghetto di Roma ne sopravvissero solo 15, e Giancarlo e Lello non furono tra questi. I loro nomi, insieme agli altri 56 compagni espulsi, ora sono incisi su una lapide inaugurata nell’atrio del Visconti il 31 gennaio 2019.

Lapide Visconti Roma
La lapide, inaugurata nell’atrio del Visconti il 31 gennaio 2019, elenca per risarcimento i 58 nomi degli studenti espulsi

Sulla lapide, sopra all’elenco dei 58 alunni, un altro nome: “Maria Piazza, docente di scienze naturali”. Scuola negata dedica molto spazio a questa professoressa. “Esaminando i registri scolastici – spiega la scrittrice a ilfattoquotidiano.it – mi sono accorta che questa donna, da un certo momento in avanti, spariva nel nulla. A quel punto ho iniziato un profondo lavoro di ricerca, allargando il campo anche ai testimoni, e sono riuscita a ricostruire la vita di questa mia collega”. Maria Piazza, espulsa nel ’38, è stata una protagonista importante della costituzione della Scuola ebraica: “Dopo essere stati allontanati dalle scuole – continua Bogliaccino -, gli ebrei di Roma si sono organizzati per far continuare gli studi anche ai ragazzi che frequentavano le superiori. Così fu fondato questo istituto che il fascismo ha consentito fino al 1943. Fu insediato in una zona piuttosto centrale, vicino al Colosseo, in via Celimontana. Qui insegnarono i docenti che erano stati a loro volta espulsi, tra cui Maria Piazza”. Anche grazie al suo sforzo, già nel novembre del 1938, a poco più di due mesi dall’emanazione del Regio Decreto Legge del 5 settembre, fu possibile restituire ad alcuni di quei ragazzi la scuola che Mussolini e suoi gerarchi avevano deciso di negargli.

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