All’inaugurazione dell’anno giudiziario nel capoluogo siciliano la procuratrice generale sottolinea che la cattura del superlatitante ha dimostrato "le reti di protezione e l’omertà", “l’olezzo della compiacenza e dell’ammiccamento”. Il capo della procura ha aggiunto: "Adesso l'organizzazione sta cercando una figura che possa occupare il vuoto". Quindi "non è il momento di abbassare la guardia. Le intercettazioni sono, e sono sempre state, uno strumento fondamentale"
“Mafia liquida”, così la definisce Lia Sava, procuratrice generale di Palermo, durante il suo intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario nel capoluogo siciliano. Un intervento che assieme a quello del capo della procura, Maurizio De Lucia, ribadisce la forza della criminalità organizzata, adesso pronta a ricoprire il vuoto lasciato dalla cattura di Matteo Messina Denaro: “I magistrati sono riusciti a tamponare il fenomeno, ma adesso l’organizzazione sta cercando una figura che possa occupare il vuoto lasciato dal latitante”, ha detto De Lucia.
L’olezzo della compiacenza – Una mafia che “come dimostra la cattura di Matteo Messina Denaro – ha detto Sava – esiste ancora e, superata la frattura fra corleonesi e perdenti, prosegue nei suoi traffici attraverso la strategia della sommersione che ha consentito al latitante più ricercato dell’organizzazione di farsi curare in una clinica di Palermo per un lungo periodo, come negli anni ottanta, allorché le reti di protezione e l’omertà, ben miscelate, consentivano ad altri mafiosi latitanti di girare indisturbati per le vie della città”. Una criminalità organizzata che, secondo Sava, è “capace di passare attraverso i differenti stati della fisica”, a volte gassosa, ed è in questi casi che si sente “l’olezzo della compiacenza e dell’ammiccamento”. Ma al suo stato naturale la mafia “è fluida: si insinua in ogni spazio lasciato libero dallo Stato e dall’etica ed abbiamo motivo di ritenere che questo spazio abbia dimensioni significative, nonostante i nostri immani sforzi e quelli delle forze dell’ordine”. Un discorso di 10 pagine, “senza edulcoranti”, letto di fronte a una folta platea in cui sedevano il presidente della Regione, Renato Schifani e il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, entrambi eletti con il sostegno di Totò Cuffaro, e la spinta strategica di Marcello Dell’Utri, il primo condannato per favoreggiamento alla mafia, il secondo per concorso esterno. Davanti al governatore e al sindaco, Sava ha ricordato “gli sconcertanti episodi di compravendita di voti in occasione di competizioni elettorali”, riferendosi con chiarezza agli arresti per voto di scambio avvenuti pochi giorni prima dell’elezione di Lagalla, lo scorso 12 giugno, e prima dell’elezione di Schifani, lo scorso 25 settembre (in entrambe le occasioni sono stati arrestati candidati di centrodestra). Così Sava ha ricostruito un contesto che segue la “legge dei meandri di Le Corbusier, quella della maggior pendenza, anche impercettibile, che seguono i corsi d’acqua. Perché la mafia scivola individuando le strategie per controllare ogni segmento del nostro territorio, come è avvenuto in certe zone di Palermo durante il Covid, allorché intercettando bisogni primari, sono stati loro, i mafiosi, a distribuire pacchi di generi alimentari dove gli aiuti pubblici tardavano ad arrivare”. Una criminalità che penetra nei vuoti dello Stato ed è “vitale”, in territori come la “provincia di Agrigento – ha ancora sottolineato – dove si muove anche con omicidi ed attraverso ingente disponibilità di armi” e “la provincia di Trapani, dove le indagini evidenziano l’inquietante riservata e putrida interlocuzione, al di là della rilevanza penale, fra esponenti mafiosi ed amministratori locali. Un territorio melmoso nel quale rischia di sprofondare la speranza dei tanti cittadini onesti”.
Le vittime non denunciano: intercettazioni indispensabili – C’è un episodio in particolare che ha voluto ricordare Sava, quello di chi è stato “costretto a chiudere il suo bar e lasciare la città di Castellamare del Golfo” dopo “reiterate minacce consistite nell’affissione di un cartello con la scritta ‘Chiuso per lutto’ e nel recapitargli una ghirlanda di fiori”. Un episodio esemplare perché “la vittima non ha mai presentato querela ed il reato è stato accertato grazie all’attività di intercettazione sul capo del mandamento di Alcamo”. Per questo Sava è stata chiara: “Per contrastare efficacemente fenomeni corruttivi occorrono anche le intercettazioni, strumento che non va spuntato ma che impone, ne siamo assolutamente consapevoli, il rigorosissimo rispetto delle regole codicistiche, senza perniciose fughe di notizie, così scongiurando in radice ogni oscena invasività nella sfera di terzi estranei al reato”.
Procura in sottorganico – Dopo il passaggio sulle intercettazioni, dalla procura generale di Palermo arriva la lamentela per il sottorganico: “Pensate alla procura senza dirigente amministrativo e con solo otto sostituti nella Dda, con una carenza di organico complessivo di quindici sostituti. Il quadro desolante non cambia se volgiamo lo sguardo alle altre procure del distretto”. “Quindici magistrati in più fanno la differenza in un momento in cui Cosa nostra è in oggettiva profonda difficoltà che deriva anche alle indagini svolte e che hanno portato il 16 gennaio scorso alla cattura di Matteo Messina Denaro”, dice anche Maurizio De Lucia. Un discorso appassionato anche quello del capo della procura, due settimane dopo la cattura di Matteo Messina Denaro, dopo trent’anni di latitanza.
La Mafia non ha perso – La “mafia è tutt’altro che sconfitta – ha detto De Lucia – le indagini dimostrano che la tensione interna all’organizzazione è sempre alta e sono in sempre in atto i tentativi di ricostituzione della cupola e di chi occuperà i ruoli di vertice, occupati da latitanti”. Per questo anche secondo il capo della procura di Palermo, le intercettazioni sono fondamentali: “Questo non è il momento di abbassare la guardia e cullarsi nella soddisfazione, ma di aumentare gli sforzi. Le intercettazioni sono, e sono sempre state, uno strumento fondamentale per il contrasto alle organizzazioni criminali”.
Le polemiche – Un discorso quello del procuratore capo che punta dritto alle polemiche sollevate “un attimo dopo la cattura del latitante”, sulla presunta profezia di Salvatore Baiardo, uomo fidato dei fratelli Graviano: “Ciascuno può commentare come crede – ha detto alla gremita aula magna del Tribunale – può fare tutte le speculazioni intellettuali che ritiene, ma queste speculazioni si devono fermare davanti all’evidenza dei fatti”. Un intervento molto applaudito dalla platea dove sedeva anche Manfredi Borsellino.