La Germania pubblica la lista integrale delle forniture e l’aggiorna con cadenza settimanale: 3mila lanciarazzi Panzerfaust, 100mila bombe a mano, 350mila detonatori e via scorrendo. Dà conto perfino del vestiario: 240mila “cappelli per l’inverno” , 116.000 giacche per il freddo, 80mila pantaloni termici. Di più, anticipa quelle approvate ancora in consegna, e infatti nell’elenco sono già comparsi i 14 carri Leopard2 accordati due giorni fa dopo un lungo braccio di ferro con gli Stati Uniti. Per sapere di quali e quante armi Berlino rifornisce Kiev non serve dar la caccia a un decreto perché sono pubblicate sul sito della cancelleria dove tutto il mondo può leggere. Ma non per questo sul tetto del Reichstag di Berlino sventola la bandiera dell’Armata Rossa come nel ’45. Anche gli altri Paesi dell’alleanza per Kiev forniscono elenchi, report, comunicati ufficiali con il dettaglio delle armi inviate, altre volte sono il ministro o il segretario della difesa in persona a leggere in Parlamento l’inventario delle armi. L’Italia invece no – chissà perché – persevera per la sesta volta nella scelta di secretare i propri elenchi, impedendo così all’opinione pubblica e al Parlamento di esercitare un qualche controllo, dato che neppure gli è concesso di conoscerne il contenuto. Dal 24 febbraio 2022 quelle informazioni restano appannaggio esclusivo di un ristretto consesso di politici, alti comandi militari e tecnocrati. Non a caso tra i cittadini (paganti), e si vede anche da recenti sondaggi, cresce il malcontento verso gli “aiuti” a Kiev, tanto vaghi e generici da consentire al ministro della difesa Guido Crosetto di parlare ancora di “armi difensive”, anche se montano un cannone da 55 mm.
Ma siamo pressoché gli unici a sopportarlo. All’estero il dilemma se rendere pubblica o no la lista delle armi è stato oggetto di dibattiti e scontri finché il pressing esercitato sui rispettivi governi li ha indotti a una progressiva “disclosure” delle informazioni. E’ successo in Francia, Germania e via dicendo. In Paesi più grandi e più piccoli della Val d’Aosta. A Roma, invece, pare regnare l’assuefazione all’inconoscibilità che è poi il vero mistero di questa storia, un segreto nel “segreto di Stato” che si trascina da quasi un anno: non c’è dubbio, infatti, che Berlino, Parigi, Londra e cioé i nostri alleati nella causa facciano l’esatto il contrario. Il segreto (non richiesto) genera non solo sospetti ma insuperabili paradossi. L’ospitata di Zelensky a Sanremo, ad esempio: da giorni funge da arma di distrazione di massa, ne parlano tutti, ma senza sottolineare che – comunque la si pensi – sul palco dell’Ariston salirà l’unico a sapere davvero per cosa dirà “grazie Italia”, a differenza di 60 milioni di italiani. Eppure la trasparenza è possibile, praticarla non uccide. Non piovono missili russi sulle capitali europee, non affiorano sottomarini nucleari dalle coste del Mediterraneo. Basta un giro per le cancellerie d’Europa, sui siti dei dipartimenti di difesa, tra gli statement dei governi per capire che siamo più unici che soli in questo frangente, soli di fronte al paradosso.
Berlino, dove si contano anche le scarpe
La Germania, ad esempio. Nelle prime fasi del conflitto il governo tedesco non divulgava informazioni ma lasciava che lo facesse Kiev, una volta ricevute le armi. Alla fine ha prevalso un orientamento diverso che premia la trasparenza senza particolari controindicazioni. I tedeschi due giorni fa hanno potuto vedere un mezzobusto della Zdf che girava l’ultimo elenco di armi in partenza per Kiev. Non ha dovuto supplicare qualche gola profonda, estorcerlo a un generale né copiarlo da un sito di hackerattivisti maniaci di sistemi d’arma: gli è bastato digitare il sito ufficiale della Cancelleria di Berlino, il governo tedesco.
E’ la pagina ufficiale dedicata all’assistenza militare all’Ucraina. Oltre a quantificare subito le risorse spese (2 miliardi nel 2020, 2,2 per il 2023) riporta una lista dell’assistenza militare “letale e non letale” a Kiev. L’ultimo aggiornamento risale a ieri. In grassetto viene evidenziato l’aggiornamento rispetto alla settimana precedente. Scorrendola, si può leggere tutto quel che la Germania ha fornito: 30 carri antiaereo Gepart con 6mila munizioni, 22 milioni di munizioni per pistole, 60mila lanciagranate da 40 mm, 500 missili Stinger e via scorrendo, compresi 116mila giacche, 80mila pantaloni termici e 240mila cappelli invernali. E per chi avesse l’esigenza di aggiornare lettori e cittadini, c’è un’apposita lista dei materiali non ancora forniti ma pronti per il prossimo invio: ed è qui che si possono leggere i 14 carri Leopard2 A6 sbloccati due giorni fa dopo un lungo braccio di ferro coi coi-produttori a stelle strisce che ha riempito i giornali. Scorrendo la lista, la domanda è la stessa: quell’elenco pubblicato in rete che tutti possono leggere, ha avuto conseguenze per Berlino? E’ caduto l’angelo della vittoria al Tiergarten? Nulla di tutto questo. E allora non si capisce perché mai l’analogo elenco dell’Italia debba restare segreto, salvo dare ragione a Rete Pace Disarmo che trova l’unica ragione plausibile nel calcolo di convenienza che ne hanno la politica e la lobby delle armi.
Usa e Inghilterra: parlamenti ancora sovrani
Gli Stati Uniti si sa, hanno speso più di tutti finora: 27 miliardi di dollari in 11 mesi. E hanno mandato di tutto: degli invii viene tenuta traccia nelle relazione al Congresso e ciascuno, anche a scopo di propaganda, viene semmai enfatizzato in comunicati ufficiali e conferenze stampa. L’elenco viene pubblicato e aggiornato sul sito del Dipartimento della difesa. L’ultimo (scarica) risale a 10 giorni fa (19 gennaio 2023) e dà conto di tutto: che siano 50mila razzi Grad, 700 droni tattici Switchblade o 350 gruppi elettrogeni etc. I rapporti con Mosca? Non sono né migliorati né peggiorati per questo.
In Inghilterra il segretario alla difesa Ben Wallace non solo non nasconde la lista, ma ne dà personalmente lettura al Parlamento. L’ultima volta lo ha fatto il 16 gennaio 2023 e quasi si rammaricava del fatto che “è passato un mese dall’ultima volta che ho aggiornato l’Aula sulla situazione in Ucraina”. E giù con l’elenco, che la stampa potrà richiedere in formato esteso e dettagliato: uno squadrone di carri armati Challenger 2 con veicoli corazzati di recupero e riparazione, droni per 20 milioni, 100.000 colpi di artiglieria e così via. Il 25 gennaio, tre giorni fa, la Camera dei Comuni ha pubblicato sul proprio sito un report (“Military assistance to Ukraine since the Russian invasion”) che riepiloga numeri, comunicati ufficiali, notizie di stampa per capire quanto e cosa viene inviato a Kiev.
Il caso Francia: dal segreto alla pubblicazione
Anche la Francia, dove pure si è dibattuta a lungo la questione, ha fatto cadere presto il segreto. La riserva inziale era motivata dal governo di Macron come una scelta strategica sotto due profili: tenere aperto un canale diplomatico con la Russia, impedire a Mosca di sapere “cosa consegniamo e quando lo consegniamo agli ucraini”, dando così al nemico di Kiev un qualche vantaggio tattico. Questo orientamento è venuto meno quando giornali e osservatori hanno contestato lo sforzo profuso da Parigi rispetto ad altri Paesi, come la Polonia. L’Eliseo ha iniziato allora a divulgare gli elenchi, cosa che prima faceva solo su richiesta dei giornali e ora anticipa addirittura via Twitter usando account ufficiali della diplomazia. Parigi non ha subito minacce particolari da Putin per questo, né si è scatenata la seconda Rivoluzione, per quanto il tema delle armi accenda e divida ancora l’opinione pubblica e si presti a spostare consensi.
Pure i “piccoli” dicono di più
Il Canada non è mai stato un grande fornitore di armi, semmai di strumenti per la protezione civile. Ma quando succede è il primo ministro ad annunciarlo e chiunque può leggerlo sul sito ufficiale del Ministero della Difesa. L’ultima comunicazione risale a ieri: il ministro della Difesa Anita Anand annuncia che il Canada fornirà all’Ucraina quattro carri Leopard2 togliendo dall’inventario delle forze armate canadesi (CAF), oltre a un nuovo contingente per addestrare soldati ucraini. Due giorni prima aveva annunciato l’acquisto di 200 veicoli corazzati Senator (APC) per un valore di 90 milioni di dollari da donare a Kiev, acquistandoli da Roshel, azienda canadese di Mississauga, nell’Ontario. E Mosca non ha dichiarato guerra a Ottawa.
Il ricco Lussemburgo è più piccolo della Val d’Aosta ma riesce a essere più trasparente dell’Italia. Non solo non teme di far sapere quel che dà all’Ucraina ma lo posta sugli account social del Dipartimento della Difesa, anche in forma di elenco. L’ultimo invio risale al 2 di dicembre con un elenco diffuso anche via Twitter (qui) che dà conto delle attrezzature militari inviate per 75 milioni di euro, che valgono il 16% dell’intero budget per la difesa nel 2022: tra le armi consegnate figurano 12.500 Rpg-7, 600 lanciarazzi multipli, 24mila maschere antigas etc.
Una domanda, nessuna risposta
Non sa più come ripeterlo Francesco Vignarca, storico rappresentante della rete per il disarmo. “Non si riesce proprio a comprendere il reale motivo del segreto. Nelle prime settimane si poteva capire, perché non sai quanto dura il conflitto, perché aveva senso rifornire Kiev ma tacerlo per tenere aperti canali diplomatici, o ancora perché militarmente l’informazione poteva dare un qualche vantaggio a Mosca. Ma dopo 12 mesi di guerra, miliardi di sistemi d’arma inviati, tutte queste motivazioni decadono e cosa resta? Solo una motivazione interna, legata all’esigenza politica di prevenire critiche interne. Critiche dei militaristi che chiedono più armi, o quelle contrarie dei pacifisti che ne chiedono meno e vogliono sapere cosa mandiamo temendo che contribuiscano all’escalation. L’altra spiegazione possibile riguarda l’aumento delle spese militari: se non ti dico cosa ho mandato, è più difficile contestarti quanto chiedi per ripristinare gli arsenali. Perché questa è l’impostazione dei decreti. La riservatezza permette poi uscite surreali come le rassicurazioni sull’invio di armi “solo difensive”, come ha fatto il ministro Crosetto quanto è ovvio che un’arma è difensiva o offensiva in base all’uso che ne fai: dammi la lista, e posso verificarlo”.
Politica
Armi a Kiev, il segreto di Stato solo per l’Italia. I (nostri) alleati pubblicano elenchi e relazioni. Dagli Usa alla Germania, ecco dove trovarli
Tra gli italiani cresce il malumore per gli "aiuti" ma per la sesta volta non sanno neppure di cosa dolersi, perché quel che viene mandato da Roma a Kiev viene classificato come un segreto di Stato. Un cittadino tedesco? Può sapere quanti carri e quanti calzini. E così i francesi, gli inglesi e perfino canadesi e lussemburghesi i cui governi mettono a disposizione le informazioni anche settimanalmente, perfino dei materiali ancora da inviare. Rete Pace Disarmo: "Unica ragione plausibile è non perdere consenso e coprire aumento delle spese militari"
La Germania pubblica la lista integrale delle forniture e l’aggiorna con cadenza settimanale: 3mila lanciarazzi Panzerfaust, 100mila bombe a mano, 350mila detonatori e via scorrendo. Dà conto perfino del vestiario: 240mila “cappelli per l’inverno” , 116.000 giacche per il freddo, 80mila pantaloni termici. Di più, anticipa quelle approvate ancora in consegna, e infatti nell’elenco sono già comparsi i 14 carri Leopard2 accordati due giorni fa dopo un lungo braccio di ferro con gli Stati Uniti. Per sapere di quali e quante armi Berlino rifornisce Kiev non serve dar la caccia a un decreto perché sono pubblicate sul sito della cancelleria dove tutto il mondo può leggere. Ma non per questo sul tetto del Reichstag di Berlino sventola la bandiera dell’Armata Rossa come nel ’45. Anche gli altri Paesi dell’alleanza per Kiev forniscono elenchi, report, comunicati ufficiali con il dettaglio delle armi inviate, altre volte sono il ministro o il segretario della difesa in persona a leggere in Parlamento l’inventario delle armi. L’Italia invece no – chissà perché – persevera per la sesta volta nella scelta di secretare i propri elenchi, impedendo così all’opinione pubblica e al Parlamento di esercitare un qualche controllo, dato che neppure gli è concesso di conoscerne il contenuto. Dal 24 febbraio 2022 quelle informazioni restano appannaggio esclusivo di un ristretto consesso di politici, alti comandi militari e tecnocrati. Non a caso tra i cittadini (paganti), e si vede anche da recenti sondaggi, cresce il malcontento verso gli “aiuti” a Kiev, tanto vaghi e generici da consentire al ministro della difesa Guido Crosetto di parlare ancora di “armi difensive”, anche se montano un cannone da 55 mm.
Ma siamo pressoché gli unici a sopportarlo. All’estero il dilemma se rendere pubblica o no la lista delle armi è stato oggetto di dibattiti e scontri finché il pressing esercitato sui rispettivi governi li ha indotti a una progressiva “disclosure” delle informazioni. E’ successo in Francia, Germania e via dicendo. In Paesi più grandi e più piccoli della Val d’Aosta. A Roma, invece, pare regnare l’assuefazione all’inconoscibilità che è poi il vero mistero di questa storia, un segreto nel “segreto di Stato” che si trascina da quasi un anno: non c’è dubbio, infatti, che Berlino, Parigi, Londra e cioé i nostri alleati nella causa facciano l’esatto il contrario. Il segreto (non richiesto) genera non solo sospetti ma insuperabili paradossi. L’ospitata di Zelensky a Sanremo, ad esempio: da giorni funge da arma di distrazione di massa, ne parlano tutti, ma senza sottolineare che – comunque la si pensi – sul palco dell’Ariston salirà l’unico a sapere davvero per cosa dirà “grazie Italia”, a differenza di 60 milioni di italiani. Eppure la trasparenza è possibile, praticarla non uccide. Non piovono missili russi sulle capitali europee, non affiorano sottomarini nucleari dalle coste del Mediterraneo. Basta un giro per le cancellerie d’Europa, sui siti dei dipartimenti di difesa, tra gli statement dei governi per capire che siamo più unici che soli in questo frangente, soli di fronte al paradosso.
Berlino, dove si contano anche le scarpe
La Germania, ad esempio. Nelle prime fasi del conflitto il governo tedesco non divulgava informazioni ma lasciava che lo facesse Kiev, una volta ricevute le armi. Alla fine ha prevalso un orientamento diverso che premia la trasparenza senza particolari controindicazioni. I tedeschi due giorni fa hanno potuto vedere un mezzobusto della Zdf che girava l’ultimo elenco di armi in partenza per Kiev. Non ha dovuto supplicare qualche gola profonda, estorcerlo a un generale né copiarlo da un sito di hackerattivisti maniaci di sistemi d’arma: gli è bastato digitare il sito ufficiale della Cancelleria di Berlino, il governo tedesco.
E’ la pagina ufficiale dedicata all’assistenza militare all’Ucraina. Oltre a quantificare subito le risorse spese (2 miliardi nel 2020, 2,2 per il 2023) riporta una lista dell’assistenza militare “letale e non letale” a Kiev. L’ultimo aggiornamento risale a ieri. In grassetto viene evidenziato l’aggiornamento rispetto alla settimana precedente. Scorrendola, si può leggere tutto quel che la Germania ha fornito: 30 carri antiaereo Gepart con 6mila munizioni, 22 milioni di munizioni per pistole, 60mila lanciagranate da 40 mm, 500 missili Stinger e via scorrendo, compresi 116mila giacche, 80mila pantaloni termici e 240mila cappelli invernali. E per chi avesse l’esigenza di aggiornare lettori e cittadini, c’è un’apposita lista dei materiali non ancora forniti ma pronti per il prossimo invio: ed è qui che si possono leggere i 14 carri Leopard2 A6 sbloccati due giorni fa dopo un lungo braccio di ferro coi coi-produttori a stelle strisce che ha riempito i giornali. Scorrendo la lista, la domanda è la stessa: quell’elenco pubblicato in rete che tutti possono leggere, ha avuto conseguenze per Berlino? E’ caduto l’angelo della vittoria al Tiergarten? Nulla di tutto questo. E allora non si capisce perché mai l’analogo elenco dell’Italia debba restare segreto, salvo dare ragione a Rete Pace Disarmo che trova l’unica ragione plausibile nel calcolo di convenienza che ne hanno la politica e la lobby delle armi.
Usa e Inghilterra: parlamenti ancora sovrani
Gli Stati Uniti si sa, hanno speso più di tutti finora: 27 miliardi di dollari in 11 mesi. E hanno mandato di tutto: degli invii viene tenuta traccia nelle relazione al Congresso e ciascuno, anche a scopo di propaganda, viene semmai enfatizzato in comunicati ufficiali e conferenze stampa. L’elenco viene pubblicato e aggiornato sul sito del Dipartimento della difesa. L’ultimo (scarica) risale a 10 giorni fa (19 gennaio 2023) e dà conto di tutto: che siano 50mila razzi Grad, 700 droni tattici Switchblade o 350 gruppi elettrogeni etc. I rapporti con Mosca? Non sono né migliorati né peggiorati per questo.
In Inghilterra il segretario alla difesa Ben Wallace non solo non nasconde la lista, ma ne dà personalmente lettura al Parlamento. L’ultima volta lo ha fatto il 16 gennaio 2023 e quasi si rammaricava del fatto che “è passato un mese dall’ultima volta che ho aggiornato l’Aula sulla situazione in Ucraina”. E giù con l’elenco, che la stampa potrà richiedere in formato esteso e dettagliato: uno squadrone di carri armati Challenger 2 con veicoli corazzati di recupero e riparazione, droni per 20 milioni, 100.000 colpi di artiglieria e così via. Il 25 gennaio, tre giorni fa, la Camera dei Comuni ha pubblicato sul proprio sito un report (“Military assistance to Ukraine since the Russian invasion”) che riepiloga numeri, comunicati ufficiali, notizie di stampa per capire quanto e cosa viene inviato a Kiev.
Il caso Francia: dal segreto alla pubblicazione
Anche la Francia, dove pure si è dibattuta a lungo la questione, ha fatto cadere presto il segreto. La riserva inziale era motivata dal governo di Macron come una scelta strategica sotto due profili: tenere aperto un canale diplomatico con la Russia, impedire a Mosca di sapere “cosa consegniamo e quando lo consegniamo agli ucraini”, dando così al nemico di Kiev un qualche vantaggio tattico. Questo orientamento è venuto meno quando giornali e osservatori hanno contestato lo sforzo profuso da Parigi rispetto ad altri Paesi, come la Polonia. L’Eliseo ha iniziato allora a divulgare gli elenchi, cosa che prima faceva solo su richiesta dei giornali e ora anticipa addirittura via Twitter usando account ufficiali della diplomazia. Parigi non ha subito minacce particolari da Putin per questo, né si è scatenata la seconda Rivoluzione, per quanto il tema delle armi accenda e divida ancora l’opinione pubblica e si presti a spostare consensi.
Pure i “piccoli” dicono di più
Il Canada non è mai stato un grande fornitore di armi, semmai di strumenti per la protezione civile. Ma quando succede è il primo ministro ad annunciarlo e chiunque può leggerlo sul sito ufficiale del Ministero della Difesa. L’ultima comunicazione risale a ieri: il ministro della Difesa Anita Anand annuncia che il Canada fornirà all’Ucraina quattro carri Leopard2 togliendo dall’inventario delle forze armate canadesi (CAF), oltre a un nuovo contingente per addestrare soldati ucraini. Due giorni prima aveva annunciato l’acquisto di 200 veicoli corazzati Senator (APC) per un valore di 90 milioni di dollari da donare a Kiev, acquistandoli da Roshel, azienda canadese di Mississauga, nell’Ontario. E Mosca non ha dichiarato guerra a Ottawa.
Il ricco Lussemburgo è più piccolo della Val d’Aosta ma riesce a essere più trasparente dell’Italia. Non solo non teme di far sapere quel che dà all’Ucraina ma lo posta sugli account social del Dipartimento della Difesa, anche in forma di elenco. L’ultimo invio risale al 2 di dicembre con un elenco diffuso anche via Twitter (qui) che dà conto delle attrezzature militari inviate per 75 milioni di euro, che valgono il 16% dell’intero budget per la difesa nel 2022: tra le armi consegnate figurano 12.500 Rpg-7, 600 lanciarazzi multipli, 24mila maschere antigas etc.
Una domanda, nessuna risposta
Non sa più come ripeterlo Francesco Vignarca, storico rappresentante della rete per il disarmo. “Non si riesce proprio a comprendere il reale motivo del segreto. Nelle prime settimane si poteva capire, perché non sai quanto dura il conflitto, perché aveva senso rifornire Kiev ma tacerlo per tenere aperti canali diplomatici, o ancora perché militarmente l’informazione poteva dare un qualche vantaggio a Mosca. Ma dopo 12 mesi di guerra, miliardi di sistemi d’arma inviati, tutte queste motivazioni decadono e cosa resta? Solo una motivazione interna, legata all’esigenza politica di prevenire critiche interne. Critiche dei militaristi che chiedono più armi, o quelle contrarie dei pacifisti che ne chiedono meno e vogliono sapere cosa mandiamo temendo che contribuiscano all’escalation. L’altra spiegazione possibile riguarda l’aumento delle spese militari: se non ti dico cosa ho mandato, è più difficile contestarti quanto chiedi per ripristinare gli arsenali. Perché questa è l’impostazione dei decreti. La riservatezza permette poi uscite surreali come le rassicurazioni sull’invio di armi “solo difensive”, come ha fatto il ministro Crosetto quanto è ovvio che un’arma è difensiva o offensiva in base all’uso che ne fai: dammi la lista, e posso verificarlo”.
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Palermo, 12 mar. (Adnkronos) - "Affronterò il processo con la massima serenità e con la consapevolezza di poter dimostrare la correttezza del mio operato, avendo sempre agito nel pieno rispetto del regolamento previsto dall’Assemblea Regionale Siciliana. Non ho mai, nella mia vita, sottratto un solo centesimo in modo indebito e confido che nel corso del giudizio emergerà la verità, restituendo chiarezza e trasparenza alla mia posizione. Resto fiducioso nella giustizia e determinato a far valere le mie ragioni con il rispetto e la serietà che ho sempre riservato alle istituzioni". Così Gianfranco Miccichè, rinviato a giudizio per l'uso dell'auto blu, commenta il processo che partirà a luglio. "Sono però amareggiato da quanto la stampa riporta sul fatto che, secondo il pm avrei arraffato quanto più possibile- dice - Nella mia vita non ho mai arraffato alcun che e su questo pretendo rispetto da parte di tutti".
Palermo, 12 mar. (Adnkronos) - L'ex Presidente dell'Assemblea regionale siciliana Gianfranco Miccichè è stato rinviato a giudizio con l'accuaa di peculato e concorso in truffa aggravata il. La prima udienza del processo si terrà il 7 luglio davanti alla terza sezione del tribunale di Palermo. Secondo l'accusa il politico, ex viceministro dell'Economia, avrebbe usato l'auto blu in dotazione, in quanto ex Presidente dell'Ars, per fini personali. In particolare avrebbe usato, non per fini istituzionali, l’Audi della Regione, per una trentina di volte, tra marzo e novembre del 2023, anche per fare visite mediche, e persino per andare dal veterinario con il gatto. Avrebbe fatto salire sull'auto anche componenti della sua segreteria e familiari.
Il suo ex autista, Maurizio Messina, che ha scelto il rito abbreviato, è stato invece condannato dal giudice per l’udienza preliminare Marco Gaeta a un anno e mezzo di carcere per truffa, più sei mesi con l'accusa di avere sottratto la somma che gli era stata sequestrata durante le indagini.
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - La Corte di Assise di Appello di Milano ha assolto, ribaltando la sentenza a sette anni inflitta in primo grado, Salvatore Pace per il concorso nell'omicidio di Umberto Mormile, l'educatore del carcere di Opera ammazzato l'11 aprile 1990. Il delitto fu rivendicato dalla Falange Armata, organizzazione terroristica sulla quale gravitavano mafiosi, 'ndranghetista e componenti dei servizi segreti deviati. Mormile, 34 anni, venne assassinato a Carpiano, nel Milanese, mentre andava al lavoro, quando due individui in sella a una moto esplosero contro di lui sei colpi di pistola. Secondo l'accusa, Pace, 69 anni, diventato collaboratore di giustizia, si sarebbe messo a disposizione dei mandanti dell'omicidio. "Attendo di leggere le motivazioni" è il commento dell'avvocato Fabio Rapici, legale di alcuni dei familiari della vittima.
Roma, 12 mar (Adnkronos) - La Difesa europea non salva il Pd. Anzi, lo spacca. A Strasburgo, al momento del voto sul piano ReArmEu, gli europarlamentari dem si sono divisi: 10 favorevoli e 11 astenuti. Non un banale testa a testa, che già sarebbe una notizia, ma una spaccatura politica. La prima, almeno così evidente, nella gestione di Elly Schlein. I riformisti dem, infatti, si sono tutti schierati per il sì. Mentre sino all'ultimo istante il capo delegazione Nicola Zingaretti ha lavorato per portare il gruppo sull'astensione in modo da disinnescare ogni tentazione a votare no. Ma la frattura non si è ricomposta.
Dopo il voto, la segretaria dem ha tenuto il punto, confermando le "molte critiche" avanzate su ReArmEu: "Quel piano va cambiato" e per farlo "continueremo a impegnarci ogni giorno", ha detto tra le altre cose. Ma l'onda del voto sulla Difesa Ue è arrivata fino al Nazareno, aprendo una discussione interna al partito in cui è riemersa anche la parola 'magica' Congresso. La foto di Strasburgo, del resto, è netta. Per il sì si sono schierati Stefano Bonaccini (il presidente del partito), Antonio Decaro, Giorgio Gori, Elisabetta Gualmini, Giuseppe Lupo, Pierfrancesco Maran, Alessandra Moretti, Pina Picierno, Irene Tinagli, Raffaele Topo.
Tra gli astenuti Zingaretti, Lucia Annunziata, Brando Benifei, Annalisa Corrado, Camilla Laureti, Dario Nardella, Matteo Ricci, Sandro Ruotolo, Cecilia Strada, Marco Tarquinio, Alessandro Zan. Dalle tabelle dell'aula emerge tra l'altro che nel gruppo S&D gli unici ad astenersi sono stati gli italiani più un bulgaro, un irlandese e uno sloveno. Per non farsi mancare nulla, c'è stato anche il 'giallo' Annunziata, inizialmente conteggiata tra i sì e poi conteggiata come astenuta.
(Adnkronos) - Mentre a Strasburgo i più maliziosi hanno enfatizzato non solo la presenza di Nardella tra gli astenuti, ma soprattutto quella di Strada e Tarquinio: apertamente contrari al Piano Ue, alla vigilia erano dati certi tra i no. "C'è stato l'aiutino per non far vincere il sì", ha valutato un eurodeputato dem. Lo stesso Tarquinio, del resto, a Un giorno da pecora ha ammesso: "Se avessi votato no sarebbe mancato quel po' di più che ha consentito alla delegazione Pd di avere la maggioranza pro Elly Schlein".
"E' stata sconfitta la linea dell'astensione? E' stato sconfitto il no, perché si partiva dal no", è stata la valutazione di Lia Quartapelle. La deputata dem è stata tra quelli che hanno subito chiesto l'apertura di un confronto interno. "Dobbiamo dimostrarci all'altezza. Il Pd, un grande partito, deve argomentare dove vuole stare con una discussione che sino ad oggi non c'è stata", ha spiegato. Sulla stessa linea Piero Fassino e anche Marianna Madia: "Abbiamo la necessità di discutere e capire. Non possiamo fare tutto questo stando zitti o con un mezzo voto. Congresso o Direzione? Va bene tutto, basta che ci sia una discussione", ha detto la deputata.
Ai riformisti ha risposto Laura Boldrini: "Mi sarei aspettata che il gruppo del Pd al Parlamento europeo votasse compatto sull'astensione, che è la strada trovata dalla segretaria Schlein. Non è il momento di alimentare divisioni". Ma anche nell'area di maggioranza interna non è mancata la chiamata al confronto: "E' giusto che ci sia una discussione seria. E' una responsabilità che abbiamo tutti ed è interesse della segretaria, che io sostengo, che questa discussione si faccia nelle forme e con la rapidità necessarie", ha detto Gianni Cuperlo. Mentre è stato Andrea Orlando a chiedere un Congresso tematico: "Potrebbe essere utile anche per portare la discussione fuori dal solo gruppo dirigente" e per "chiarirsi le idee".
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - "Morte naturale per infarto". Sono questi i primi risultati dell'autopsia per Carmine Gallo, l'ex super poliziotto protagonista della lotta contro la criminalità organizzata a Milano e ai domiciliari dallo scorso ottobre per l'inchiesta Equalize sui presunti dossier illeciti, morto domenica nella sua abitazione a Garbagnate Milanese. Si tratta dei primi riscontri dei medici legali, poi "arriveranno i tossicologici" chiesti in via precauzionale per escludere qualsiasi altra causa.
Roma, 12 mar (Adnkronos) - "Il libro di Follini rappresenta la foto di un mondo rovesciato rispetto al presente, un’America rovesciata, ieri prevaleva il senso della misura e il ragionamento, oggi prevale il populismo”. Lo ha detto il deputato del Pd Stefano Graziano presentando in conferenza stampa a Montecitorio il libro di Marco Follini 'Beneficio d’inventario'.
"Centrale è la parte che racconta della vita politica all’epoca del padre di Marco Follini, Vittorio, e dei leader politici del tempo da Francesco Cossiga, ad Aldo Moro, passando per Marco Pannella. Non tutti avevano la stessa idea politica ma erano tutti uniti nella forza di voler difendere la democrazia, una democrazia ottenuta con lotte, sangue, catastrofi e quindi seppur lontani politicamente, erano uniti dal dialogo. Una differenza abissale con l’Italia di oggi pericolosamente in mano ai sovranisti, dove tutto è concepito fuorché il dialogo. Forse questo abisso non è solo italiano ma sta prevalendo in tutto l’Occidente e la cosa è abbastanza preoccupante”, ha aggiunto Graziano.
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - "La manovra repentina, improvvisa e del tutto imprevedibile, frutto certamente di una decisione di decimi di secondo attuata dal conducente del motoveicolo TMax non ha consentito al conducente del veicolo Giulietta di poter attuare alcuna manovra difensiva efficace". E' quanto sostiene la consulenza cinematica disposta dalla Procura di Milano e affidata all'ingegnere Domenico Romaniello. La relazione attribuisce la responsabilità dell'incidente a Fares Bouzidi, già indagato per omicidio stradale, l’amico di Ramy Elgaml che guidava lo scooter. Quando lo scooter da via Ripamonti svolta a sinistra verso via Quaranta, "con una deviazione improvvisa", per il consulente Fares imprime "una correzione di rotta verso destra", in direzione del marciapiede, e il carabiniere alla guida "non poteva certamente prevedere tale pericolosissima manovra e nulla ha potuto fare per evitare tale contatto, in ragione della impossibilità di poter attuare sia una correzione di rotta, sia una frenata efficace nello spazio a disposizione".
Non solo: il militare alla guida "non avrebbe altresì potuto neanche sterzare verso destra per la presenza del pedone (il testimone che riprende la scena con il cellulare) che per il conducente dell’autovettura è stato chiaramente percepito con la vista periferica" spiega l'ingegnere che ha realizzato la consulenza ricostruendo le condizioni di visibilità e velocità dell'inseguimento avvenuto la notte del 24 novembre scorso. Quella che mette in atto il carabiniere ora indagato per omicidio stradale (per lui si va verso la richiesta di archiviazione) è "una manovra difensiva obbligata": se lo scooter guidato da Fares avrebbe mantenuto la traiettoria 'naturale' chi guidava la Giulietta "non avrebbe sostanzialmente avuto problemi a mantenere il proprio veicolo iscritto nella curva da percorrere per la svolta a sinistra".
Quando Fares imposta la curva verso via Quaranta il T Max viaggia a una velocità di quasi 55 chilometri l'ora, quando il motociclo finisce la sua corsa contro il palo semaforico l'urto avviene a circa 33 chilometri orari. Per il consulente incaricato dalla procura la macchina che insegue, per evitare l'urto, "avrebbe dovuto disporre di uno spazio complessivo per l’arresto di circa 24 metri", mentre "il conducente aveva a disposizione circa 12 metri soltanto prima di giungere all’urto contro il palo semaforico".