Politica

Armi a Kiev, il segreto di Stato solo per l’Italia. I (nostri) alleati pubblicano elenchi e relazioni. Dagli Usa alla Germania, ecco dove trovarli

Tra gli italiani cresce il malumore per gli "aiuti" ma per la sesta volta non sanno neppure di cosa dolersi, perché quel che viene mandato da Roma a Kiev viene classificato come un segreto di Stato. Un cittadino tedesco? Può sapere quanti carri e quanti calzini. E così i francesi, gli inglesi e perfino canadesi e lussemburghesi i cui governi mettono a disposizione le informazioni anche settimanalmente, perfino dei materiali ancora da inviare. Rete Pace Disarmo: "Unica ragione plausibile è non perdere consenso e coprire aumento delle spese militari"

La Germania pubblica la lista integrale delle forniture e l’aggiorna con cadenza settimanale: 3mila lanciarazzi Panzerfaust, 100mila bombe a mano, 350mila detonatori e via scorrendo. Dà conto perfino del vestiario: 240mila “cappelli per l’inverno” , 116.000 giacche per il freddo, 80mila pantaloni termici. Di più, anticipa quelle approvate ancora in consegna, e infatti nell’elenco sono già comparsi i 14 carri Leopard2 accordati due giorni fa dopo un lungo braccio di ferro con gli Stati Uniti. Per sapere di quali e quante armi Berlino rifornisce Kiev non serve dar la caccia a un decreto perché sono pubblicate sul sito della cancelleria dove tutto il mondo può leggere. Ma non per questo sul tetto del Reichstag di Berlino sventola la bandiera dell’Armata Rossa come nel ’45. Anche gli altri Paesi dell’alleanza per Kiev forniscono elenchi, report, comunicati ufficiali con il dettaglio delle armi inviate, altre volte sono il ministro o il segretario della difesa in persona a leggere in Parlamento l’inventario delle armi. L’Italia invece no – chissà perché – persevera per la sesta volta nella scelta di secretare i propri elenchi, impedendo così all’opinione pubblica e al Parlamento di esercitare un qualche controllo, dato che neppure gli è concesso di conoscerne il contenuto. Dal 24 febbraio 2022 quelle informazioni restano appannaggio esclusivo di un ristretto consesso di politici, alti comandi militari e tecnocrati. Non a caso tra i cittadini (paganti), e si vede anche da recenti sondaggi, cresce il malcontento verso gli “aiuti” a Kiev, tanto vaghi e generici da consentire al ministro della difesa Guido Crosetto di parlare ancora di “armi difensive”, anche se montano un cannone da 55 mm.

Ma siamo pressoché gli unici a sopportarlo. All’estero il dilemma se rendere pubblica o no la lista delle armi è stato oggetto di dibattiti e scontri finché il pressing esercitato sui rispettivi governi li ha indotti a una progressiva “disclosure” delle informazioni. E’ successo in Francia, Germania e via dicendo. In Paesi più grandi e più piccoli della Val d’Aosta. A Roma, invece, pare regnare l’assuefazione all’inconoscibilità che è poi il vero mistero di questa storia, un segreto nel “segreto di Stato” che si trascina da quasi un anno: non c’è dubbio, infatti, che Berlino, Parigi, Londra e cioé i nostri alleati nella causa facciano l’esatto il contrario. Il segreto (non richiesto) genera non solo sospetti ma insuperabili paradossi. L’ospitata di Zelensky a Sanremo, ad esempio: da giorni funge da arma di distrazione di massa, ne parlano tutti, ma senza sottolineare che – comunque la si pensi – sul palco dell’Ariston salirà l’unico a sapere davvero per cosa dirà “grazie Italia”, a differenza di 60 milioni di italiani. Eppure la trasparenza è possibile, praticarla non uccide. Non piovono missili russi sulle capitali europee, non affiorano sottomarini nucleari dalle coste del Mediterraneo. Basta un giro per le cancellerie d’Europa, sui siti dei dipartimenti di difesa, tra gli statement dei governi per capire che siamo più unici che soli in questo frangente, soli di fronte al paradosso.

Berlino, dove si contano anche le scarpe
La Germania, ad esempio. Nelle prime fasi del conflitto il governo tedesco non divulgava informazioni ma lasciava che lo facesse Kiev, una volta ricevute le armi. Alla fine ha prevalso un orientamento diverso che premia la trasparenza senza particolari controindicazioni. I tedeschi due giorni fa hanno potuto vedere un mezzobusto della Zdf che girava l’ultimo elenco di armi in partenza per Kiev. Non ha dovuto supplicare qualche gola profonda, estorcerlo a un generale né copiarlo da un sito di hackerattivisti maniaci di sistemi d’arma: gli è bastato digitare il sito ufficiale della Cancelleria di Berlino, il governo tedesco.

E’ la pagina ufficiale dedicata all’assistenza militare all’Ucraina. Oltre a quantificare subito le risorse spese (2 miliardi nel 2020, 2,2 per il 2023) riporta una lista dell’assistenza militare “letale e non letale” a Kiev. L’ultimo aggiornamento risale a ieri. In grassetto viene evidenziato l’aggiornamento rispetto alla settimana precedente. Scorrendola, si può leggere tutto quel che la Germania ha fornito: 30 carri antiaereo Gepart con 6mila munizioni, 22 milioni di munizioni per pistole, 60mila lanciagranate da 40 mm, 500 missili Stinger e via scorrendo, compresi 116mila giacche, 80mila pantaloni termici e 240mila cappelli invernali. E per chi avesse l’esigenza di aggiornare lettori e cittadini, c’è un’apposita lista dei materiali non ancora forniti ma pronti per il prossimo invio: ed è qui che si possono leggere i 14 carri Leopard2 A6 sbloccati due giorni fa dopo un lungo braccio di ferro coi coi-produttori a stelle strisce che ha riempito i giornali. Scorrendo la lista, la domanda è la stessa: quell’elenco pubblicato in rete che tutti possono leggere, ha avuto conseguenze per Berlino? E’ caduto l’angelo della vittoria al Tiergarten? Nulla di tutto questo. E allora non si capisce perché mai l’analogo elenco dell’Italia debba restare segreto, salvo dare ragione a Rete Pace Disarmo che trova l’unica ragione plausibile nel calcolo di convenienza che ne hanno la politica e la lobby delle armi.

Usa e Inghilterra: parlamenti ancora sovrani
Gli Stati Uniti si sa, hanno speso più di tutti finora: 27 miliardi di dollari in 11 mesi. E hanno mandato di tutto: degli invii viene tenuta traccia nelle relazione al Congresso e ciascuno, anche a scopo di propaganda, viene semmai enfatizzato in comunicati ufficiali e conferenze stampa. L’elenco viene pubblicato e aggiornato sul sito del Dipartimento della difesa. L’ultimo (scarica) risale a 10 giorni fa (19 gennaio 2023) e dà conto di tutto: che siano 50mila razzi Grad, 700 droni tattici Switchblade o 350 gruppi elettrogeni etc. I rapporti con Mosca? Non sono né migliorati né peggiorati per questo.

In Inghilterra il segretario alla difesa Ben Wallace non solo non nasconde la lista, ma ne dà personalmente lettura al Parlamento. L’ultima volta lo ha fatto il 16 gennaio 2023 e quasi si rammaricava del fatto che “è passato un mese dall’ultima volta che ho aggiornato l’Aula sulla situazione in Ucraina”. E giù con l’elenco, che la stampa potrà richiedere in formato esteso e dettagliato: uno squadrone di carri armati Challenger 2 con veicoli corazzati di recupero e riparazione, droni per 20 milioni, 100.000 colpi di artiglieria e così via. Il 25 gennaio, tre giorni fa, la Camera dei Comuni ha pubblicato sul proprio sito un report (“Military assistance to Ukraine since the Russian invasion”) che riepiloga numeri, comunicati ufficiali, notizie di stampa per capire quanto e cosa viene inviato a Kiev.

Il caso Francia: dal segreto alla pubblicazione
Anche la Francia, dove pure si è dibattuta a lungo la questione, ha fatto cadere presto il segreto. La riserva inziale era motivata dal governo di Macron come una scelta strategica sotto due profili: tenere aperto un canale diplomatico con la Russia, impedire a Mosca di sapere “cosa consegniamo e quando lo consegniamo agli ucraini”, dando così al nemico di Kiev un qualche vantaggio tattico. Questo orientamento è venuto meno quando giornali e osservatori hanno contestato lo sforzo profuso da Parigi rispetto ad altri Paesi, come la Polonia. L’Eliseo ha iniziato allora a divulgare gli elenchi, cosa che prima faceva solo su richiesta dei giornali e ora anticipa addirittura via Twitter usando account ufficiali della diplomazia. Parigi non ha subito minacce particolari da Putin per questo, né si è scatenata la seconda Rivoluzione, per quanto il tema delle armi accenda e divida ancora l’opinione pubblica e si presti a spostare consensi.

Pure i “piccoli” dicono di più
Il Canada non è mai stato un grande fornitore di armi, semmai di strumenti per la protezione civile. Ma quando succede è il primo ministro ad annunciarlo e chiunque può leggerlo sul sito ufficiale del Ministero della Difesa. L’ultima comunicazione risale a ieri: il ministro della Difesa Anita Anand annuncia che il Canada fornirà all’Ucraina quattro carri Leopard2 togliendo dall’inventario delle forze armate canadesi (CAF), oltre a un nuovo contingente per addestrare soldati ucraini. Due giorni prima aveva annunciato l’acquisto di 200 veicoli corazzati Senator (APC) per un valore di 90 milioni di dollari da donare a Kiev, acquistandoli da Roshel, azienda canadese di Mississauga, nell’Ontario. E Mosca non ha dichiarato guerra a Ottawa.

Il ricco Lussemburgo è più piccolo della Val d’Aosta ma riesce a essere più trasparente dell’Italia. Non solo non teme di far sapere quel che dà all’Ucraina ma lo posta sugli account social del Dipartimento della Difesa, anche in forma di elenco. L’ultimo invio risale al 2 di dicembre con un elenco diffuso anche via Twitter (qui) che dà conto delle attrezzature militari inviate per 75 milioni di euro, che valgono il 16% dell’intero budget per la difesa nel 2022: tra le armi consegnate figurano 12.500 Rpg-7, 600 lanciarazzi multipli, 24mila maschere antigas etc.

Una domanda, nessuna risposta
Non sa più come ripeterlo Francesco Vignarca, storico rappresentante della rete per il disarmo. “Non si riesce proprio a comprendere il reale motivo del segreto. Nelle prime settimane si poteva capire, perché non sai quanto dura il conflitto, perché aveva senso rifornire Kiev ma tacerlo per tenere aperti canali diplomatici, o ancora perché militarmente l’informazione poteva dare un qualche vantaggio a Mosca. Ma dopo 12 mesi di guerra, miliardi di sistemi d’arma inviati, tutte queste motivazioni decadono e cosa resta? Solo una motivazione interna, legata all’esigenza politica di prevenire critiche interne. Critiche dei militaristi che chiedono più armi, o quelle contrarie dei pacifisti che ne chiedono meno e vogliono sapere cosa mandiamo temendo che contribuiscano all’escalation. L’altra spiegazione possibile riguarda l’aumento delle spese militari: se non ti dico cosa ho mandato, è più difficile contestarti quanto chiedi per ripristinare gli arsenali. Perché questa è l’impostazione dei decreti. La riservatezza permette poi uscite surreali come le rassicurazioni sull’invio di armi “solo difensive”, come ha fatto il ministro Crosetto quanto è ovvio che un’arma è difensiva o offensiva in base all’uso che ne fai: dammi la lista, e posso verificarlo”.