“La frode, nell’ambito della ricerca scientifica, può danneggiare i pazienti, distorcere le evidenze, determinare uno spreco di risorse economiche e danneggiare la fiducia riposta nella scienza”, dice Fiona Godlee, direttrice del British Medical Journal (Bmj). Nel panorama scientifico odierno ci troviamo a dover sviluppare un senso critico nei confronti di ciò che leggiamo, senza abbracciare ottusamente quel che ci viene proposto come vero. Nel corso degli ultimi anni è cresciuta l’attenzione nei confronti del publishing indotto da articoli scientifici fraudolenti pubblicati su riviste di noto spessore. Questo pone l’accento sulla veridicità e sulla bontà di una metodologia di pubblicazione che risulta ormai desueta e macchiata dagli abusi e dagli interessi.
L’interrogativo cade su come si sia logorata a tal punto l’integrità morale di una parte della comunità scientifica. Ad incentivare questo approccio fraudolento si affianca il concetto che l’autorevolezza di una rivista scientifica si basi sul numero di citazioni che i propri articoli ricevono e, conseguentemente, la fondatezza di un articolo scientifico sia relativa all’indicizzazione della rivista che lo pubblica. In virtù di questo, anche il prestigio del ricercatore aumenta con l’incremento del numero delle sue pubblicazioni e citazioni.
Tutto ciò induce una spasmodica corsa alla massiva pubblicazione scientifica a discapito della qualità della stessa innescando meccanicismi atti a perseguire il gioco del publish or perish, sfruttando argomenti mainstream o, ancor peggio, mistificando tendenziosamente dati e risultati scientifici. Quando manipolata o inventata, la produzione scientifica di un ricercatore diventa utile solo allo stesso per l’avanzamento di carriera e per autoreferenziarsi e accreditarsi nel mondo scientifico conducendo a un’alterazione della realtà fino a compromettere l’evoluzione scientifica e la conoscenza di una disciplina.
“Impact factor abandoned by Dutch University in hiring and promotion decisions” sono le parole di presentazione dell’articolo pubblicato da Nature nel 2021. Un grido di ribellione verso un meccanismo ormai deteriorato; con l’intento di deprivare l’imperante potere di giudizio collettivo e individuale di un indice numerico (l’Impact Factor), a favore di metri di giudizio basati su reale meritocrazia. A sostegno di tale posizione il Professor Per O. Seglen sviscera i problemi dell’utilizzo dell’Impact Factor e dell’H-index come mezzo di valutazione della ricerca scientifica in uno studio condotto dall’Institute for Studies in Research and Higher Education.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una crescita esponenziale del numero di articoli ritirati o contestati. Tra lo 0,5% ed il 20% degli articoli risultano avere “problemi” riferisce Enrico Bucci ricercatore di Biologia di Sistemi Complessi. Le motivazioni che possono portare al ritiro di un articolo scientifico sono per fabbricazione, falsificazione o plagio, mossi spesso da conflitti d’interesse per ottenere vantaggi nella propria carriera. Caso recente è stato quello pubblicato dal Lancet nel bailamme del periodo Covid-19, articolo reso pubblico nel 2020 e ritirato poco tempo dopo. L’autore, il Professor Mandeep Mehra cardiochirurgo dell’università di Harvard, metteva un punto fermo nel bocciare l’utilizzo dell’idrossiclorochina come farmaco per il trattamento del Covid-19.
Le accuse di inattendibilità dei risultati del lavoro e di incongruenza dei dati sono state mosse dal Guardian, inchiesta che ha portato alla luce l’impossibilità da parte degli autori di garantire la validità del proprio studio. La risonanza dell’impatto mediatico scientifico suscitato ha portato a un’inevitabile sfiducia nei confronti della ricerca scientifica che ha reso difficoltoso il reclutamento di pazienti disposti a testare la vera efficacia del farmaco mettendo quindi un freno all’evoluzione scientifica. “Come direttore di una rivista scientifica garantire l’integrità di quanto pubblichiamo è forse il mio compito più difficile”, denuncia Howard Bauchner dell’Università di Boston e direttore del Jama.
Ancor più denigrante è il fraudolento circolo vizioso di compensi economici che ruota intorno alla pubblicazione di un paper corrompendo e compromettendo la trasparenza e l’integrità di un lavoro scientifico. Stratagemma che ben si nasconde dietro alla lecita fee di pubblicazione.
A corollario di quanto detto ho avviato la prima rivista scientifica al mondo di chirurgia plastica ricostruttiva: open access e peer-reviewed e soprattutto senza alcun costo di pubblicazione, il Plastic Reconstructive & Regenerative Surgery. Ponendoci l’obiettivo di emarginare questa forma di corruzione che va a discapito della scienza, la rivista è riuscita per la prima volta a riunire tutte le società scientifiche italiane del settore divenendo organo ufficiale della Società Italiana di Microchirurgia (Sim) e della Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva-Rigenerativa ed Estetica (Sicpre), nonché partner dell’Associazione Italiana di Chirurgia Plastica Estetica (Aicpe) e della Società Italiana di Medicina Estetica (Sime).
Come editor-in-chief del Prrs journal auspico che questo passo venga accolto da tutta la comunità scientifica e possa essere la scintilla per un’evoluzione meritocratica nell’ambito della pubblicazione e della divulgazione scientifica.