È successo quello che un po’ tutti, a parte forse qualche inguaribile ottimista rossonero, si aspettavano. È durata anche più del previsto, perché il miracolo è andato avanti per quasi un anno e mezzo e il Milan ha fatto a tempo a vincerci uno scudetto, che col senno di poi ha sempre più dell’incredibile. Ma alla fine l’incanto che aveva trasformato una squadra di modeste individualità in campioni d’Italia si è spezzato: il giocattolino di Pioli si è rotto.
La figuraccia per certi versi storica col Sassuolo (2-5 in casa, i rossoneri non incassavano così tanti gol a San Siro da 25 anni) sancisce ufficialmente la crisi del Milan. Non irrimediabile, perché in classifica non c’è nulla di compromesso se pensiamo al quarto posto, unico obiettivo di tutti visto che la fuga del Napoli ha chiuso ogni discorso scudetto. Ma indiscutibile, nei numeri e negli atteggiamenti: 18 reti subite in 7 partite (che diventano addirittura 12 nelle ultime 3), peggior difesa del campionato nel 2023, appena una vittoria dalla ripresa dopo il Mondiale.
Dopo l’ennesima imbarcata non si può far più finta di nulla, tocca interrogarsi seriamente sulle ragioni di un’involuzione preoccupante. Di certo pesa negativamente il Mondiale, che ha restituito scarichi, stanchi, deconcentrati alcuni giocatori chiave (Theo, Giroud, lo stesso Leao). Sicuramente qualcosa non ha funzionato sul mercato, condizionato anche nella transizione fra la vecchia e la (chissà quanto) nuova proprietà: la dirigenza ha pesato male l’investimento su De Ketelaere, e dopo anni di mosse azzeccate gli altri acquisti (i vari Thiaw, Vranckx, Origi) si sono rivelati inutili alla causa, per un motivo o per l’altro. L’assenza di Maignan – vero fuoriclasse di questa squadra, l’uomo che l’anno scorso fece la differenza nel duello con l’Inter – ha tolto punti e certezze. Ma gli alibi non bastano, le crepe si erano intraviste già da tempo e la crisi va ben al di là dei limiti che questa rosa ha sempre avuto, anche quando dominava il campionato. La squadra ha perso l’equilibrio, è completamente slegata sul campo, non riesce più a pressare (la sua arma tattica migliore, forse l’unica) e quando ci prova viene infilata come burro. È come non avesse più quella fame vorace con cui divorava le avversarie.
Sicuramente il vero valore del Milan non era quello dell’anno scorso, a cui avevano contribuito una serie di contingenze ed episodi forse irripetibili, ma nemmeno questo. Ci dovrà pur essere una via di mezzo. Qualcosa non funziona più e tocca a Pioli capire cosa. Di crisi simili, del resto, se ne sono già viste tante, finite in entrambi i modi: i casi recenti di Allegri e Inzaghi dimostrano che se ne può uscire (ricordiamo com’era messa la Juve dopo l’eliminazione dalla Champions, o la stessa Inter a marzo dello scorso anno), ma anche perdere definitivamente il bandolo della matassa.
Il derby di domenica contro l’Inter diventa così la partita della verità. Non per Pioli, che non rischia nulla, sarebbe assurdo solo pensare il contrario per un allenatore che ha vinto uno scudetto incredibile. Ma nel calcio non si vive nemmeno di riconoscenza, soltanto di soldi. L’unico snodo per il mister e per il progetto rossonero, come per tutti del resto, rimane il quarto posto, con un occhio agli ottavi di Champions dove il Tottenham è comunque un avversario abbordabile (e qualificarsi ai quarti darebbe un senso diverso alla stagione). Il derby diventa fondamentale per invertire la tendenza, perché è evidente che un altro rovescio pesante comprometterebbe la stagione mettendo a rischio anche l’obiettivo minimo, il presente e quindi il futuro di un progetto che solo pochi mesi fa era vincente. Pioli farà meglio a ritrovare l’ingrediente segreto, qualsiasi cosa fosse. Fame, alchimia, magia, fortuna, chiamatela come volete. Senza quello, questo Milan è una squadra da metà classifica.