Il 30 gennaio di 75 anni fa veniva assassinato Gandhi, il Mahatma, la grande anima dell’India. A ucciderlo fu Nathuram Godse, un nazionalista indù, impiccato nel 1949. Se a fine gennaio sarete in India vi renderete conto che, nonostante le celebrazioni ufficiali, Gandhi non è particolarmente stimato da buona parte della popolazione nonostante abbia dato con la sua rivoluzione pacifica la libertà a questo immenso ma soprattutto popoloso Paese (più di un miliardo e 400 milioni di abitanti, che tra pochi anni dovrebbe superare demograficamente la Cina).

Le ragioni di questa scarsa affezione sono varie: di certo, anche se non ne fu l’artefice diretto, la separazione del Pakistan, che non solo costò la sovranità e la nascita di un nuovo Stato a maggioranza musulmana, segnata da tragedie famigliari immani, avendo obbligato la popolazione di religione induista di quelle zone a migrare in India e buona parte di quella di religione musulmana, abitante nelle zone limitrof,e a migrare in Pakistan. Questa resta una ferita aperta dato che alcune famiglie a tanti anni di distanza non si sono ancora potute riunire. La sua figura oggi è molto più ricordata e venerata in occidente e spesso in modo erroneo associata al buddismo: Gandhi – la cui dottrina etico-politica era fondata sulla nonviolenza – si ispirava al Giainismo, una delle tante religioni praticate in India, che glorifica un profeta e non una divinità. Infatti la sua storia in qualche modo si associa a una delle contraddizioni che attraversano il subcontinente, come per Buddha: nato e vissuto in India, che vede il buddismo poco praticato, la maggioranza è induista, in parte musulmana e anche cristiana.

La sua rivoluzione fu sicuramente incompleta e non si sa dove sarebbe potuta arrivare. Anche se l’abolizione per legge delle caste coincide con l’indipendenza dal dominio britannico, esse continuano a esistere, basta leggere un quotidiano la domenica per vedere gli annunci matrimoniali che fanno riferimento all’appartenenza a determinate caste. Quello che è stato cancellato è il diritto di alcune di esse di sopraffarne altre, come purtroppo accade ancora oggi con la violenza sulle donne, dato che accadono ancora stupri, un tempo considerati quasi un diritto di appartenenti a caste superiori, soprattutto nei villaggi più sperduti.

La sua rivoluzione è quanto mai attuale, non solo per l’idea di nonviolenza e di una via di ribellione legata alla disobbedienza civile, ma anche per un ritorno del pacifismo dovuto alla guerra che sta dilaniando l’Ucraina, che causando la mancanza di alcuni materie prime ha fatto sì che tornasse in auge una certa forma di ricorso all’autarchia (come allora per l’acquisto di materiali di provenienza inglese, dalle sementi alla lana) il tutto in un forte dirigismo statale. Resta incompiuta la parificazione dei diritti delle donne, anche se occupano e hanno occupato ruoli di grande importanza e potere, come per Indira Gandhi, Sonia Gandhi e per le governatrici di alcuni stati, ancora costrette in molti casi a matrimoni forzati o da bambine (come nelle bidonville in cui operiamo a Jaipur con Vivere con Lentezza, per lo più abitate da fuori casta) e i poveri ammontano a circa 500 milioni.

La rivoluzione non è stata cancellata in quel Paese, nonostante uno dei successori dell’assassino del Mahatma stia da anni tentando la sua riabilitazione, legandosi ai gruppi più tradizionalisti e nazionalisti, su cui fa leva anche il primo ministro Modi, che per uno gioco del destino si è trovato, per la guerra tra Russia e Ucraina, al fianco della Cina (odiato competitore e arrogante vicino che contende territori limitrofi, come il Tibet).

Anche se con forme sempre più contrastanti con gli ideali che le hanno originate, certe rivoluzioni sopravvivono, soprattutto grazie al debito di riconoscenza che la popolazione più anziana sente ancora per aver portato all’indipendenza, che pur essendo delle dittature a volte sanguinarie e oppressive vengono ancora riconosciute. Del resto non sarebbero certo le prime rivoluzioni a rimangiarsi i principi su cui sono nate visto che Napoleone nel 1802 riammise lo schiavismo, abolito durante la Rivoluzione nel 1794, grazie alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo del 1792, giusto dieci anni dopo.

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