Federico Baroni è il busker più seguito in Italia sui social. L’ex concorrente di Amici, di “Chilometri” (proprio come il singolo dedicato a Michele Merlo) ne ha fatti con le sue gambe, tanto che oggi sta lavorando al secondo album per Warner Music Italy
Negli ultimi giorni si è parlato (forse fin troppo) di “inquinamento acustico”. Giulia Torelli, influencer e speaker radiofonica, qualche giorno fa ha affidato ai social la sua rabbia nei confronti degli artisti di strada. Rockandfiocc ha deciso di attaccare qualche buskers presente tra Corso Vittorio Emanuele e Piazza Del Duomo: “Corso Vittorio Emanuele presa in ostaggio dai chitarrini, mezza via presa in ostaggio da questi con la batteria che spaccano i timpani. Nell’altra metà c’è uno che fa le acrobazie. Cioè non si riesce a camminare in città… Devono esibirsi. Inquinamento acustico!”. I social, inutile dirlo, hanno preso una posizione abbastanza netta. I primi che si sono esposti pubblicamente a favore degli artisti di strada sono stati Selvaggia Lucarelli e Luca Bizzarri, il quale ha rivolto un messaggio preciso a Torelli: “Dire cazzate, questo è inquinamento acustico”. Torelli, ci chiediamo e anzi lo chiediamo a lei, sa come vive davvero un “busker”? Cosa prova mentre suona davanti tutta quella gente diversa ogni giorno? Federico Baroni è il busker più seguito in Italia sui social. L’ex concorrente di Amici, di “Chilometri” (proprio come il singolo dedicato a Michele Merlo) ne ha fatti con le sue gambe, tanto che oggi sta lavorando al secondo album per Warner Music Italy. “Essere busker mi ha cambiato la vita”, anticipa a FqMagazine, in un viaggio a ritroso nel tempo tra ferite, speranze e ritorni. Sempre in una piazza, dove tutto prende vita.
Federico, cosa vuol dire fare “busking”?
Vuol dire spogliarsi di tutte le corazze che utilizziamo sui social, nascondendoci dietro uno schermo. Ci spogliamo di tutto e siamo nudi davanti a persone che non ci conoscono. In strada porti le tue storie e le emozioni gratuitamente, a disposizione di tutti. E non è cosa da poco al giorno d’oggi.
Il pubblico in piazza sarà sicuramente più critico rispetto a un teatro o un palasport. Del resto la gente decide se fermarsi o meno…
È proprio questo il punto. Tu in quanto artista non mandi un invito a nessuno. La gente si ferma perché vuole ascoltare te. Più volte mi sono chiesto: “Perché 100 persone si sono fermate ad ascoltare una persona che non conoscevano?”. La connessione che ho quando sono per strada e trovo negli occhi delle persone che ho davanti è impagabile. Per fare il “busker” devi essere estremamente empatico.
Tra “buskers” possiamo dire che esiste un regolamento non scritto? Le posizioni in città sono ben definite tra voi…
Io ho iniziato a suonare per strada nel 2014, quando vivevo a Roma. Ai tempi eravamo in 4/5 artisti ed io suonavo in Via Del Corso. Per apprendere al meglio cosa volesse dire fare l’artista di strada, nel 2013 ho deciso di volare in Inghilterra. A Londra il busker è molto rispettato, il suo lavoro è riconosciuto, ci sono sussidi statali. I live sono regolamentati da permessi e postazioni. Qui in Italia è ancora una guerra, anche se qualcosa fortunatamente sta cambiando.
Che differenze hai notato tra l’estero e il nostro Paese?
Una su tutte: il pubblico all’estero è davvero trasversale. Si passa dal ragazzino, all’uomo in giacca e cravatta fino ad arrivare alla persona anziana. Si fermano ad ascoltare un musicista, guardare un acrobata o una ballerina. Qui in Italia invece si tende a seguire più il ragazzino che suona qualcosa di “commerciale”. Basti pensare che Ed Sheeran, Passenger, James Bay e Lewis Capaldi hanno iniziato la loro carriera proprio dalla strada.
C’è bisogno ancora oggi di classificare la musica in serie A e serie B? Qui in Italia abbiamo l’effetto Maneskin: da Via del Corso a un tour mondiale… I social hanno contribuito a diffondere l’arte in strada?
Qui in Italia in effetti funziona solo l’effetto “Maneskin”. A noi piacciono i fatti solo quando diventano virali o raggiungono grandi numeri. Loro come band hanno fatto il modo che si superasse questa versione “poraccia” dell’artista di strada. Mia zia ad esempio i primi anni mi domandava: “Quando ti trovi un lavoro serio? Non è meglio se smetti ad andare a suonare per strada?”. Eppure è pur sempre mia zia.
Hai due primati: per il brano “Jackpot” hai girato il primo double vertical music video al mondo, premiato anche alla Casa del Cinema di Roma. Per “Fino a tardi” invece hai realizzato il primo video al mondo interamente girato con gli smart glasses. Possiamo però dire che la cosa in cui sei stato più coinvolto è stata portare la musica di Michele Merlo nelle piazze di tutta Italia con uno street tour…
“Chilometri street tour” è stato uno dei momenti più forti del mio percorso artistico e personale. Quei live per strada sono stati emozionanti. Volevo ricordare il mio amico scomparso con una canzone, Chilometri, e con degli incontri per strada per condividere emozioni: “Michele non c’è più ma la sua musica rimane, restiamo vicini”. Domenico e Katia (il papà e la mamma di Merlo) sono venuti in piazza del Duomo a Milano a vedermi. Mi hanno detto: “Stiamo male, ma vedere tutta questa gente qui ci fa sorridere e pensare a quanto sarebbe felice Michele”.
Federico cosa ne pensi della definizione degli buskers che ha dato Giulia Torelli?
(Ride). Eh, mi rendo conto che ci sono persone che hanno ancora questa considerazione degli artisti di strada. Più che altro mi dispiace per loro. Leggere i commenti sotto il post di Giulia Torelli mi ha fatto capire quanta disapprovazione ci sia stata rispetto quelle parole. Ecco perché ho deciso di fare un video per spiegare quanto sacrificio e lavoro c’è da parte di un busker. Suonare per strada, del resto, è una scelta ben precisa dettata dal coraggio. E andrebbe apprezzato, no? Per Giulia spiace. Tante volte si spera di ottenere l’approvazione e invece si tende a finire nel ridicolo. Nessuna polemica.
Il comune di Milano ha avuto difficoltà nel regolamentare gli artisti di strada. Con il progetto “Open stage” però ora qualcosa si sta muovendo. C’è un appello che vorresti fare al sindaco Beppe Sala?
Mi prendete un po’ alla sprovvista. Beh, un festival a Milano in occasione della Music Week sarebbe grandioso. Durante la settimana della musica bisognerebbe riportare per strada gli artist. E poi credo che la chiave sarebbe organizzare showcase con artisti famosi. Una volta al mese un nome big potrebbe organizzare un set chitarra e voce. Questo servirebbe per far passare il messaggio che “suonare per strada è figo e non da poracci”.