Forse per un eccesso di narcisismo – è un ministro che ogni giorno esterna in ogni direzione – o per mancanza di competenza specifica sul tema, il ministro del Mim Giuseppe Valditara è caduto nel trappolone teso ad arte dalle Regioni. Sollecitato sul tema di come recuperare il potere d’acquisto dei docenti e del personale scolastico, il ministro ha rispolverato la vecchia proposta, mai del tutto superata, di una differenziazione salariale dei redditi dei docenti e del personale scolastico in base al costo della vita, che notoriamente è molto più alto al Nord che al Sud. Il ministro, subissato dalle critiche arrivare persino da Confindustria, ha poi subito corretto la sua analisi dicendo che si era limitato a riportare una valutazione delle Regioni e che la questione sarà presa seriamente in considerazione (?). Una proposta delle Regioni, dunque, che il ministro incautamente ha rilanciato in grande stile.

Perché questa proposta di agganciare lo stipendio dei docenti al costo della vita è, politicamente parlando, un tranello nel quale il ministro del Mim è caduto? Semplicemente per il fatto che, nel caso passasse questa differenziazione, le Regioni chiederebbero allo stato centrale maggiori risorse per questo scopo. Le Regioni chiedono da tempo allo stato centrale la possibilità di poter incrementare gli stipendi del personale scolastico, in attesa della fantomatica autonomia differenziata, ma i soldi non li prenderebbero dai loro bilanci, tutti prosciugati dalle spese sanitarie. Dovrebbe essere lo stato ad incrementare i trasferimenti regionali, con i quali poi i governatori regionali potrebbero aumentare gli stipendi del personale scolastico. In definitiva, lo Stato apre la borsa e le Regioni si prendono il merito. Le Regioni aspettavano solo una sponda politica e Valditara si è proposto ingenuamente di fornirla, anche se poi è tornato sui suoi passi.

La proposta Valditara, ma anche di molti altri a dire il vero, di parametrare lo stipendio al costo della vita ogni tanto riemerge e viene di solito subito bocciata. È una bolla retorica che ritorna quando non si hanno altri argomenti. Le famose gabbie salariali degli anni Sessanta non erano certo un modello di efficienza produttiva e sono state consegnate definitivamente alla storia. Al loro posto è subentrata la contrattazione aziendale, che tenendo conto della produttività delle singole imprese consente variazioni anche notevoli di stipendio. Non sorprende che la anacronistica proposta di Valditara sia durata lo spazio di un mattino.

Tuttavia, seppur indirettamente, questa proposta ha il merito di affrontare una questione oggi cruciale per la scuola e cioè il superamento del livellamento degli stipendi dei docenti e del personale scolastico. Se Valditara avesse proposto di differenziare gli stipendi non in senso geografico ma con altri criteri, la proposta non avrebbe potuto essere facilmente accantonata. Un tentativo in questo senso è stato fatto a suo tempo dal ministro Luigi Berlinguer. Tentativo bocciato dai sindacati e dai docenti. Ma se oggi fosse riproposto probabilmente riceverebbe un’accoglienza differente. Sia problemi di finanza pubblica e soprattutto la consapevolezza dei vari aspetti della professione docente potrebbero portare ad un sistema duale a scorrimento, dal basso verso l’alto. Un po’ come succede all’università. Professori ordinari e associati hanno le stesse funzioni, eppure c’è una significativa differenza di stipendio che a volte è difficile da giustificare se non in maniera del tutto astratta.

Si passa poi di livello attraverso una selezione. Se, allargando le maglie della proposta Berlinguer, si prospettasse un sostanziale incremento di stipendio per almeno il 40% dei docenti, una proposta di questo genere potrebbe essere sensata. Entrando nel concreto, si potrebbe prendere come punto di riferimento la retribuzione aggiuntiva che il ministro Bianchi pensava per il docente esperto, e cioè 5.600 euro lordi all’anno. Una proposta del genere costerebbe all’erario circa 3 miliardi di euro lordi (molto meno della fiscalizzazione degli oneri sociali della finanziaria 2023 della Meloni), una cifra pienamente sostenibile in tempi di flat tax e di sconti fiscali a go go. Come effettuare questo passaggio, quali criteri adoperare, in che modo intervenire: su queste tematiche si potrebbe costruire un ampio dibattito bipartisan e arrivare a soluzioni condivise, se pensiamo che l’istruzione sia un bene comune. Questo dualismo dinamico potrebbe ridare smalto e attrattività alla professione. È chiaro infatti che c’è una quota, non irrilevante, di docenti a cui la situazione attuale di semi-professionalità e stipendio modesto sta bene. L’orario non è pesante e non è richiesto alcun aggiornamento. Ma c’è una quota, egualmente rilevante, di docenti che esigono un pieno riconoscimento professionale e sono disposti ad impegni ulteriori, previo adeguato riconoscimento economico. Questi docenti meritano di più.

Ecco allora che una differenziazione legata al merito, comunque lo si voglia definire, a molti anni di distanza dalla proposta Berlinguer potrebbe essere il cavallo di battaglia del ministro Valditara, se avesse voglia di impegnarsi realmente per risolvere i problemi della scuola italiana. Non basta infatti rispondere al Pd di Debora Serracchiani, che ora all’opposizione si è inventato la proposta tardiva di utilizzare 8 miliardi per incrementare gli stipendi dei docenti, che lui ha fatto di più in tre mesi di quello che ha fatto il Partito Democratico in molti anni. Questo, se è pur vero ma andrebbe qualificato, riguarda il passato.

Nel 2024 scade il contratto della scuola, il ministro ha in mente davvero di valorizzare economicamente il merito o pensa di cavarsela per il buco della serratura della nuova figura, abbastanza ridicola, del docente orientatore e con qualche predica moraleggiante sulla centralità del ruolo dell’insegnante? I soldi ci sono, basta non regalarli ai ricchi contribuenti delle varie flat tax e annessi privilegi fiscali. Il ministro del merito è atteso alla prova del nove, cioè alla prova dei fatti e non delle chiacchiere.

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