Una coltre di ambiguità è attraversata da un sottilissimo filo conduttore, che sembra poter tenere insieme la guerra russa in Ucraina, il quasi sopito accordo sul nucleare iraniano, il New Start – ultimo pilastro dei trattati sul controllo degli armamenti – ed i connessi rapporti tra Russia e Stati Uniti. E ancora il permanente conflitto a bassa (ma crescente) intensità tra lo stesso Iran e gli alleati americani in Medioriente, in particolare Israele, ma anche le relazioni di Teheran con alcuni paesi europei ed asiatici. Dossier apparentemente separati, che nelle ultime settimane sembrano però aver converso in modo quasi impercettibile, rinfocolando il rischio di una polarizzazione sul piano globale, ed il ritorno all’attualità di scenari imprevedibili. Gli ultimi dieci giorni sono particolarmente complicati da mettere in prospettiva.
L’attacco coi droni e i sospetti su Israele – Sabato scorso il ministero della Difesa iraniano ha fatto sapere di aver sventato una serie di attacchi coi droni su alcuni impianti militari nella provincia di Isfahan, nei pressi dei quali sono state udite una serie di esplosioni, quasi in contemporanea ad un grave incendio divampato in una raffineria ad Azarshahr, nel nord del paese.
A tre giorni dai fatti, poco e nulla appare chiaro. Dapprima una fonte “a conoscenza dell’operazione” ha riferito a Barak Ravid, noto giornalista israeliano di Axios, che l’azione concertata dei droni sarebbe stata “mirata, chirurgica e riuscita, in grado di colpire quattro diverse zone dell’impianto e di raggiungere gli obiettivi prefissati”. Affermazioni che, da una parte, contraddicono quel che ha sin da subito dichiarato il ministro degli Esteri Amir Abdollahian, parlando di “attacco codardo che ha prodotto danni minimi”, e dell’analista militare dell’agenzia governativa Irna, Mohammad Shaltouki, il quale ha fatto sapere che essendo stato già attaccato in passato, l’impianto sarebbe stato recentemente oggetto di una ristrutturazione volta a rafforzarne il tetto e ad installare speciali sistemi di difesa aerea contro i droni di piccole dimensioni; dall’altra, evidentemente, hanno subito indotto a ritenere Israele responsabile.
Una ipotesi confermata da una serie di funzionari americani interpellati dal New York Times, e rafforzata anche dal fatto che dallo scorso 23 gennaio Stati Uniti e Israele hanno iniziato a condurre Juniper Oak 23.2, la più imponente esercitazione militare congiunta mai andata in scena tra i due paesi, col coinvolgimento di B-52, F-35, F-15, F-18, 12 navi da guerra, circa 6400 truppe americane e 1100 delle Israeli Defense Forces.
Come noto, non sarebbe la prima volta che Tel Aviv compie azioni militari in territorio iraniano: nel 2010 erano stati uccisi, con due bombe installate sui loro veicoli, il fisico delle particelle dell’Università di Teheran, Masoud Alimohammadi, ed il fisico nucleare dell’Agenzia per l’energia atomica iraniana, Majid Shahriari; nel 2011 era toccato a al 35enne scienziato nucleare Dariush Rezaeinejad, l’anno seguente a Mostafa Ahmadi Roshan e nel 2020 a Mohsen Fakhrizadeh.
La pista di altri Paesi coinvolti – Eppure, alcuni media sauditi come Al Arabiya e Al Hadath hanno in un primo momento escluso il coinvolgimento israeliano, parlando di “Stati Uniti ed un altro paese, ma non Israele“, ed in ogni caso il punto è che stavolta sembra poterci essere dell’altro, e non sembra qualcosa da poco.
Il giorno dopo l’attacco, infatti, l’incaricato d’affari ucraino in Iran è stato convocato al ministero degli Esteri di Teheran in seguito ad alcuni criptici commenti fatti da Kiev dal consigliere presidenziale Mikhailo Podolyak, che aveva messo in relazione quanto accaduto in Iran con la guerra in Ucraina. “La logica della guerra è inesorabile e omicida. Presenta rigorosamente il conto agli autori e ai suoi complici. Panico nella Federazione russa: mobilitazione senza fine, difesa missilistica a Mosca, trincee a mille chilometri di distanza, preparazione di rifugi antiaerei. Notte esplosiva in Iran: produzione di droni e missili, raffinerie di petrolio. L’Ucraina vi aveva avvertiti”, aveva scritto Podolyak su Twitter.
Immediata ed in qualche modo allarmante la reazione del Supremo Consiglio di Sicurezza Nazionale (Scsn), che attraverso l’agenzia affiliata Nour ha fatto riferimento al tweet stesso, ritenendolo “ammissione indiretta che Kiev partecipi ad azioni contro l’Iran, e ciò non solo ricolloca la loro strategia volta a minacciare la nostra sicurezza ma, nel caso in cui il governo ucraino non prenda le distanze da questo incidente, vi saranno gravi conseguenze sull’Ucraina“.
Qualcuno, dopo che lo scorso 27 gennaio un uomo ha attaccato l’ambasciata dell’Azerbaijan a Teheran, uccidendo un addetto alla sicurezza (anche se l’azione sembra legata a motivazioni personali), ha anche ipotizzato il coinvolgimento di Baku, visto che almeno dal 2014 – ma in particolare negli ultimi tempi, vista anche la recente apertura dell’ambasciata azera a Tel Aviv – i rapporti con Teheran sono abbastanza tesi, poiché l’Azerbaijan ha più volte aperto il proprio spazio aereo ai droni israeliani diretti in Iran, e Teheran ha sostenuto l’Armenia nell’ultimo round di conflitto con esso.
Il collegamento con la guerra in Ucraina – Qualcosa di diverso sembra esserci anche perché diversi osservatori ritengono che l’attacco ad Isfahan stavolta non ha a che fare col programma nucleare o le armi alle milizie filo-iraniane, bensì con il sostegno diretto dell’Iran alla Russia: nel sito sarebbero infatti immagazzinati i missili balistici che Mosca attenderebbe da Teheran, che a sua volta si aspetta una serie di aerei da guerra in cambio – mentre è di qualche giorno fa la notizia della firma di un accordo interbancario tra i due paesi, volto a bypassare le sanzioni e l’esclusione dal sistema di pagamenti Swift, di cui entrambi sono vittime.
Mosca e il nucleare iraniano – Se la possibilità di un ritorno all’accordo sul nucleare iraniano (Jcpoa) è al momento ai minimi storici, lo si deve poi ad una serie di circostanze e di equilibri instabili, che peraltro chiamano in causa anche Mosca. Da un lato, una inedita e mai così “problematica” mancanza di coesione e consenso tra le autorità iraniane, nessuna delle quali – il presidente Raisi in testa, che pure nel tempo ha ammorbidito la sua postura, a differenza del Capo delle Forze armate Mohammad Bagheri e dell’ex negoziatore ed attuale rappresentante della Guida Ali Khamenei, Saeed Jalili – sembra oggi disposto ad assumersi la responsabilità di una direzione netta, né verso una chiusura totale, né verso una apertura.
Dall’altro, perché il dossier nucleare oggi non sembra più soltanto una questione che riguarda Teheran. Il ministro degli Esteri Sergej Lavrov, dopo aver condannato l’attacco a Isfahan, avvertendo che “tali azioni distruttive possono avere conseguenze imprevedibili per la pace e la stabilità del Medio Oriente”, ha ribadito – toni simili li aveva avuti anche prima della firma del primo storico accordo, poi deliberatamente abbandonato dagli Stati Uniti di Trump – che “i Paesi occidentali devono smettere di giocare, e devono trovare finalmente la forza per giungere a un accordo definitivo sulla ripartenza del Jcpoa“.
Parole pronunciate nelle stesse ore in cui ha avvertito il New Start, ultimo pilastro dei trattati tra Washington e Mosca sul controllo degli armamenti nucleari, potrebbe scadere nel 2026 senza essere rimpiazzato in alcun modo: un fatto che assume particolare rilevanza alla luce della stretta attualità, non solo per quel che riguarda la situazione in Ucraina. Quanto accaduto a Isfahan potrebbe alimentare in qualche modo scenari opposti: una accelerazione ed un rafforzamento della cooperazione militare russo-iraniana, oppure un (voluto) rallentamento.
Se Teheran consegnasse davvero i missili balistici a Mosca, si configurerebbe una violazione della risoluzione 2231 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che vieta all’Iran questo tipo di operazioni fino al prossimo ottobre, pena il ripristino delle sanzioni Onu, che si sommerebbero a quelle dirette e secondarie da parte degli Stati Uniti – va ricordato che l’Iran vive una profonda crisi economica, ed il tasso di cambio col dollaro in dieci anni è passato da 1:7000 ad 1:450000 della settimana scorsa. Ciò avrebbe ulteriori conseguenze, visto che l’Iran ha sempre ribadito molto chiaramente che nel caso di un ripristino di quelle sanzioni, sarebbe pronta a ritirarsi dal Trattato di non proliferazione nucleare. È possibile che si arrivi ad una situazione intermedia: dopotutto, come accennato, le restrizioni sul commercio dei missili valgono fino ad ottobre 2023, e l’Iran potrebbe volutamente posticipare la consegna di questi missili a Mosca (in passato è accaduto lo stesso a parti invertite). Molto, però, dipenderà dagli sviluppi della guerra in Ucraina, e dalle tante, troppe variabili indipendenti che oggi sono sullo scacchiere.
Mondo
Iran, l’attacco coi droni che porta fino alla guerra in Ucraina: l’intreccio che coinvolge Russia, Israele e il nucleare a Teheran
Difficile leggere in prospettiva gli avvenimenti degli ultimi giorni. I fatti di Isfahan portano a sospettare di Israele, ma i commenti che arrivano dalla presidenza di Kiev aprono altri scenari. E il dossier nucleare oggi non sembra più soltanto una questione che riguarda Teheran
Una coltre di ambiguità è attraversata da un sottilissimo filo conduttore, che sembra poter tenere insieme la guerra russa in Ucraina, il quasi sopito accordo sul nucleare iraniano, il New Start – ultimo pilastro dei trattati sul controllo degli armamenti – ed i connessi rapporti tra Russia e Stati Uniti. E ancora il permanente conflitto a bassa (ma crescente) intensità tra lo stesso Iran e gli alleati americani in Medioriente, in particolare Israele, ma anche le relazioni di Teheran con alcuni paesi europei ed asiatici. Dossier apparentemente separati, che nelle ultime settimane sembrano però aver converso in modo quasi impercettibile, rinfocolando il rischio di una polarizzazione sul piano globale, ed il ritorno all’attualità di scenari imprevedibili. Gli ultimi dieci giorni sono particolarmente complicati da mettere in prospettiva.
L’attacco coi droni e i sospetti su Israele – Sabato scorso il ministero della Difesa iraniano ha fatto sapere di aver sventato una serie di attacchi coi droni su alcuni impianti militari nella provincia di Isfahan, nei pressi dei quali sono state udite una serie di esplosioni, quasi in contemporanea ad un grave incendio divampato in una raffineria ad Azarshahr, nel nord del paese.
A tre giorni dai fatti, poco e nulla appare chiaro. Dapprima una fonte “a conoscenza dell’operazione” ha riferito a Barak Ravid, noto giornalista israeliano di Axios, che l’azione concertata dei droni sarebbe stata “mirata, chirurgica e riuscita, in grado di colpire quattro diverse zone dell’impianto e di raggiungere gli obiettivi prefissati”. Affermazioni che, da una parte, contraddicono quel che ha sin da subito dichiarato il ministro degli Esteri Amir Abdollahian, parlando di “attacco codardo che ha prodotto danni minimi”, e dell’analista militare dell’agenzia governativa Irna, Mohammad Shaltouki, il quale ha fatto sapere che essendo stato già attaccato in passato, l’impianto sarebbe stato recentemente oggetto di una ristrutturazione volta a rafforzarne il tetto e ad installare speciali sistemi di difesa aerea contro i droni di piccole dimensioni; dall’altra, evidentemente, hanno subito indotto a ritenere Israele responsabile.
Una ipotesi confermata da una serie di funzionari americani interpellati dal New York Times, e rafforzata anche dal fatto che dallo scorso 23 gennaio Stati Uniti e Israele hanno iniziato a condurre Juniper Oak 23.2, la più imponente esercitazione militare congiunta mai andata in scena tra i due paesi, col coinvolgimento di B-52, F-35, F-15, F-18, 12 navi da guerra, circa 6400 truppe americane e 1100 delle Israeli Defense Forces.
Come noto, non sarebbe la prima volta che Tel Aviv compie azioni militari in territorio iraniano: nel 2010 erano stati uccisi, con due bombe installate sui loro veicoli, il fisico delle particelle dell’Università di Teheran, Masoud Alimohammadi, ed il fisico nucleare dell’Agenzia per l’energia atomica iraniana, Majid Shahriari; nel 2011 era toccato a al 35enne scienziato nucleare Dariush Rezaeinejad, l’anno seguente a Mostafa Ahmadi Roshan e nel 2020 a Mohsen Fakhrizadeh.
La pista di altri Paesi coinvolti – Eppure, alcuni media sauditi come Al Arabiya e Al Hadath hanno in un primo momento escluso il coinvolgimento israeliano, parlando di “Stati Uniti ed un altro paese, ma non Israele“, ed in ogni caso il punto è che stavolta sembra poterci essere dell’altro, e non sembra qualcosa da poco.
Il giorno dopo l’attacco, infatti, l’incaricato d’affari ucraino in Iran è stato convocato al ministero degli Esteri di Teheran in seguito ad alcuni criptici commenti fatti da Kiev dal consigliere presidenziale Mikhailo Podolyak, che aveva messo in relazione quanto accaduto in Iran con la guerra in Ucraina. “La logica della guerra è inesorabile e omicida. Presenta rigorosamente il conto agli autori e ai suoi complici. Panico nella Federazione russa: mobilitazione senza fine, difesa missilistica a Mosca, trincee a mille chilometri di distanza, preparazione di rifugi antiaerei. Notte esplosiva in Iran: produzione di droni e missili, raffinerie di petrolio. L’Ucraina vi aveva avvertiti”, aveva scritto Podolyak su Twitter.
Immediata ed in qualche modo allarmante la reazione del Supremo Consiglio di Sicurezza Nazionale (Scsn), che attraverso l’agenzia affiliata Nour ha fatto riferimento al tweet stesso, ritenendolo “ammissione indiretta che Kiev partecipi ad azioni contro l’Iran, e ciò non solo ricolloca la loro strategia volta a minacciare la nostra sicurezza ma, nel caso in cui il governo ucraino non prenda le distanze da questo incidente, vi saranno gravi conseguenze sull’Ucraina“.
Qualcuno, dopo che lo scorso 27 gennaio un uomo ha attaccato l’ambasciata dell’Azerbaijan a Teheran, uccidendo un addetto alla sicurezza (anche se l’azione sembra legata a motivazioni personali), ha anche ipotizzato il coinvolgimento di Baku, visto che almeno dal 2014 – ma in particolare negli ultimi tempi, vista anche la recente apertura dell’ambasciata azera a Tel Aviv – i rapporti con Teheran sono abbastanza tesi, poiché l’Azerbaijan ha più volte aperto il proprio spazio aereo ai droni israeliani diretti in Iran, e Teheran ha sostenuto l’Armenia nell’ultimo round di conflitto con esso.
Il collegamento con la guerra in Ucraina – Qualcosa di diverso sembra esserci anche perché diversi osservatori ritengono che l’attacco ad Isfahan stavolta non ha a che fare col programma nucleare o le armi alle milizie filo-iraniane, bensì con il sostegno diretto dell’Iran alla Russia: nel sito sarebbero infatti immagazzinati i missili balistici che Mosca attenderebbe da Teheran, che a sua volta si aspetta una serie di aerei da guerra in cambio – mentre è di qualche giorno fa la notizia della firma di un accordo interbancario tra i due paesi, volto a bypassare le sanzioni e l’esclusione dal sistema di pagamenti Swift, di cui entrambi sono vittime.
Mosca e il nucleare iraniano – Se la possibilità di un ritorno all’accordo sul nucleare iraniano (Jcpoa) è al momento ai minimi storici, lo si deve poi ad una serie di circostanze e di equilibri instabili, che peraltro chiamano in causa anche Mosca. Da un lato, una inedita e mai così “problematica” mancanza di coesione e consenso tra le autorità iraniane, nessuna delle quali – il presidente Raisi in testa, che pure nel tempo ha ammorbidito la sua postura, a differenza del Capo delle Forze armate Mohammad Bagheri e dell’ex negoziatore ed attuale rappresentante della Guida Ali Khamenei, Saeed Jalili – sembra oggi disposto ad assumersi la responsabilità di una direzione netta, né verso una chiusura totale, né verso una apertura.
Dall’altro, perché il dossier nucleare oggi non sembra più soltanto una questione che riguarda Teheran. Il ministro degli Esteri Sergej Lavrov, dopo aver condannato l’attacco a Isfahan, avvertendo che “tali azioni distruttive possono avere conseguenze imprevedibili per la pace e la stabilità del Medio Oriente”, ha ribadito – toni simili li aveva avuti anche prima della firma del primo storico accordo, poi deliberatamente abbandonato dagli Stati Uniti di Trump – che “i Paesi occidentali devono smettere di giocare, e devono trovare finalmente la forza per giungere a un accordo definitivo sulla ripartenza del Jcpoa“.
Parole pronunciate nelle stesse ore in cui ha avvertito il New Start, ultimo pilastro dei trattati tra Washington e Mosca sul controllo degli armamenti nucleari, potrebbe scadere nel 2026 senza essere rimpiazzato in alcun modo: un fatto che assume particolare rilevanza alla luce della stretta attualità, non solo per quel che riguarda la situazione in Ucraina. Quanto accaduto a Isfahan potrebbe alimentare in qualche modo scenari opposti: una accelerazione ed un rafforzamento della cooperazione militare russo-iraniana, oppure un (voluto) rallentamento.
Se Teheran consegnasse davvero i missili balistici a Mosca, si configurerebbe una violazione della risoluzione 2231 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che vieta all’Iran questo tipo di operazioni fino al prossimo ottobre, pena il ripristino delle sanzioni Onu, che si sommerebbero a quelle dirette e secondarie da parte degli Stati Uniti – va ricordato che l’Iran vive una profonda crisi economica, ed il tasso di cambio col dollaro in dieci anni è passato da 1:7000 ad 1:450000 della settimana scorsa. Ciò avrebbe ulteriori conseguenze, visto che l’Iran ha sempre ribadito molto chiaramente che nel caso di un ripristino di quelle sanzioni, sarebbe pronta a ritirarsi dal Trattato di non proliferazione nucleare. È possibile che si arrivi ad una situazione intermedia: dopotutto, come accennato, le restrizioni sul commercio dei missili valgono fino ad ottobre 2023, e l’Iran potrebbe volutamente posticipare la consegna di questi missili a Mosca (in passato è accaduto lo stesso a parti invertite). Molto, però, dipenderà dagli sviluppi della guerra in Ucraina, e dalle tante, troppe variabili indipendenti che oggi sono sullo scacchiere.
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Parigi, 13 mar. (Adnkronos) - La regina Camilla ha inviato una lettera a Gisele Pelicot, la donna francese che il marito ha fatto violentare per anni da decine di uomini, per "esprimerle la sua solidarietà ai massimi livelli". Lo ha riferito a Newsweek un collaboratore reale, aggiungendo che la sovrana, che lavora da anni per le vittime di violenza domestica, ha voluto riconoscere "la straordinaria dignità e il coraggio" della donna francese.
Dominique Pelicot ha ripetutamente drogato e violentato la moglie Gisèle per quasi un decennio, ha reclutato decine di uomini per fare lo stesso e ha filmato più di 200 di queste aggressioni in un caso che ha sconvolto la Francia e il mondo. E la regina "è rimasta profondamente colpita da questi fatti e dalla straordinaria dignità e dal coraggio di quella donna nel render pubblica la sua vicenda", ha affermato la fonte. "Naturalmente, ha contribuito a mettere in luce un problema sociale molto significativo, nonostante tutte le sofferenze personali che aveva attraversato".
"Quindi - prosegue la fonte reale - come sostenitrice di lunga data delle vittime di abusi domestici e sessuali, la regina ha scritto in privato a madame Pelicot, determinata a esprimerle al massimo il proprio sostegno." La lettera è un esempio del modo in cui Camilla intenda fare a livello globale ciò che fa regolarmente in Gran Bretagna - scrive il Newsweek - come dimostra la visita del 6 febbraio a Brave Spaces, a Exeter, nel sud-ovest dell'Inghilterra. L'organizzazione benefica spera di trovare una sede permanente, ma al momento offre supporto alle vittime di violenza domestica da una stanza sul retro del CoLab, uno sportello unico che fornisce servizi di supporto a una moltitudine di persone vulnerabili.
Quando la busta con il sigillo della famiglia reale britannica è arrivata insieme a migliaia di lettere di sostegno, la signora Pelicot "era sbalordita, commossa e molto orgogliosa di vedere che era riuscita a portare la sua battaglia fino alla famiglia reale britannica", ha detto a Le Monde l'avvocato della donna, Antoine Camus.
Il processo per stupro di massa, durato tre mesi in Francia lo scorso autunno, ha visto 51 uomini condannati per un totale di 428 anni. L'elettricista in pensione Pelicot è stato incarcerato alla pena massima di 20 anni. La 72enne, che The Independent ha definito la donna più influente del 2025, ha coraggiosamente scelto di rinunciare all'anonimato durante il processo che si è svolto nel villaggio di Mazan, nel sud-est della Francia.
Tel Aviv, 13 mar. (Adnkronos) - "In merito all'accusa del sangue pubblicata dalla 'Commissione d'inchiesta': è uno dei peggiori casi di accusa del sangue che il mondo abbia mai visto (e il mondo ne ha visti molti). Accusa le vittime dei crimini commessi contro di loro. Hamas è l'organizzazione che ha commesso orrendi crimini sessuali contro gli israeliani. È davvero un documento malato che solo un'organizzazione antisemita come l'Onu potrebbe produrre". Lo ha scritto su X il portavoce del ministero degli Esteri israeliano Oren Marmorstein.
Roma, 13 mar (Adnkronos) - Si terrà la prossima settimana, probabilmente giovedì 20 marzo, una seduta straordinaria della Camera dei deputati di tre ore e mezza per discutere le mozioni delle opposizioni sull'emergenza carceri. Lo ha stabilito la Conferenza dei capigruppo di Montecitorio.
Ramallah, 13 mar. (Adnkronos) - Secondo la Società dei prigionieri palestinesi e la Commissione per gli affari dei prigionieri ed ex prigionieri, almeno 25 palestinesi sono stati arrestati dalle forze israeliane durante le ultime incursioni nella Cisgiordania occupata. Tra gli arrestati ci sono una donna e diversi ex prigionieri, si legge nella dichiarazione congiunta su Telegram. Aumentano gli arresti a Hebron, dove secondo l'agenzia di stampa Wafa oggi sono state arrestate 12 persone, tra cui 11 ex prigionieri.
Roma, 13 mar (Adnkronos) - "Non c'è stato l'affidamento da parte del governo di infrastrutture critiche del Paese a Starlink" e "come già rassicurato dal presidente Meloni ogni eventuale ulteriore sviluppo su questa questione sarà gestito secondo le consuete procedure". Lo ha detto il ministro dei Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani in Senato rispondendo a una interrogazione del Pd.
Roma, 13 mar (Adnkronos) - Per quel che riguarda il piano 'Italia a 1 giga', "con riferimento alle aree più remote, il governo sta valutando con Starlink e altri operatori l'ipotesi di integrazione della tecnologia satellitare come complemento alle infrastrutture esistenti". Lo ha detto il ministro dei Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani rispondendo in Senato a una interrogazione del Pd.
"Nel caso specifico di Starlink, sono in corso delle interlocuzioni con alcune regioni italiane - del nord, del centro e del sud - per sperimentare la fornitura di un 'servizio space-based' rivolto ad aree remote o prive di infrastrutture terrestri. In ogni caso, si ribadisce che non sono stati firmati contratti nè sono stati conclusi accordi tra il governo italiano e la società Space X per l'uso del sistema di comunicazioni satellitari Starlink per coprire le aree più remote del territorio", ha chiarito Ciriani.
Roma, 13 mar (Adnkronos) - "Presso la presidenza del Consiglio non è stato istituito alcun tavolo tecnico operativo per lo studio della concessione a Starlink della gestione delle infrastrutture di connessione e telecomunicazione delle sedi diplomatiche italiane o delle stazioni mobili delle navi militari italiane". Lo ha detto il ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani rispondendo al Senato a una interpellanza del Pd.