di Fabio Valentini
A tre anni dalle olimpiadi invernali del 2026 “grande è la confusione sotto il cielo, e la situazione è eccellente”. Il ministro Salvini sostiene che in occasione della scadenza la maggior parte delle opere sarà pronta, ma evidenzia ritardi anche gravi e situazioni paradossali come alcune infrastrutture contrattualizzate con consegna al 2027. Per rimediare si sta già pensando al nuovo codice degli appalti, che dovrebbe essere approvato a fine marzo, consentendo di velocizzare le procedure. La velocità è una specialità italiana forse in alcuni sport, non certo nell’adeguarsi alle regole o nel prendere decisioni nell’interesse generale. La Fondazione Milano-Cortina, dopo l’assegnazione dei Giochi nel 2018, è stata creata nel 2020 ma forse “ha iniziato a lavorare tardi”.
Per la pista da bob di Cortina sono stati presentati quattro diversi progetti. Il primo è stato respinto perché non teneva conto dei criteri di sicurezza richiesti dal Cio; il secondo è risultato troppo impattante, con un viadotto alto una ventina di metri e lungo circa 250 sui sottostanti campi da tennis; il terzo prevedeva uno spettacolare “ottovolante” finale, ma è stato cassato perché avrebbe distrutto un parco giochi costato più di un milione di euro ed inaugurato appena un anno fa; sul quarto progetto, ancora in fase di valutazione, le più gravi perplessità provengono dalla Provincia di Belluno in quanto le acque per realizzare i 22mila metri cubi di ghiaccio necessari non verrebbero prelevate dai torrenti ma dall’acquedotto comunale, con il rischio di lasciare a secco le abitazioni.
Nel frattempo i costi sono quasi raddoppiati. Gli impianti di Igls-Innsbruck sarebbero disponibili e a breve distanza, ma questa soluzione è ritenuta “poco dignitosa”, l’italica patria richiede ben altro. I dissidi con le amministrazioni piemontesi, che avevano ospitato l’edizione dei Giochi del 2006, hanno prima impedito il riutilizzo della pista di Cesana (anch’essa comunque in disuso da anni per gli alti costi di gestione e l’inutilizzo sportivo) e poi l’accordo per il palazzo del ghiaccio. Già, perché la struttura che doveva ospitare le gare su ghiaccio, inizialmente prevista a Baselga di Piné in Trentino, ora va sostituita: il Cio chiede la copertura dell’Ice Rink, i costi previsti dal progetto sono lievitati oltre le disponibilità messe in campo dalle amministrazioni e i tempi non ci sono più. Torino mette a disposizione la pista del Lingotto (privata), ma ormai i rapporti sono spezzati e si cercano altrove alternative in fretta e furia.
Un altro mattone è piovuto in questi ultimi giorni: l’Arena di Verona, nella quale è prevista la cerimonia di chiusura dei Giochi olimpici e l’inaugurazione pochi giorni dopo delle Paralimpiadi, forse non sarà più disponibile. Lo scorso 23 gennaio, durante la rimozione della maestosa stella cometa allestita per le festività, sono stati danneggiati diversi gradoni e la struttura attualmente è sotto sequestro per accertare le responsabilità, ora l’ultima parola spetterà alla Soprintendenza.
In tutto questo vortice di scontri a livello politico, di ricerca di visibilità mediatica, di spese faraoniche alla faccia delle “olimpiadi a costo zero” e di interessi speculativi, noi che ci interessiamo della tutela dell’ambiente montano facciamo fatica a capirci qualcosa, come forse la maggior parte dei cittadini. Quello che però affermiamo da tempo è che se una grande città come Milano può avere la capacità di sopportare la pressione di un grande evento e di sfruttare questa opportunità, non altrettanto si può dire per le zone montane coinvolte, come la Valtellina e le Dolomiti. I grandi eventi sportivi, così come vengono oggi concepiti dal Cio, poco si adattano ai territori alpini; l’esperienza dimostra che gli effetti economici dei Giochi olimpici – ammesso che ve ne siano – si fanno sentire solo nel breve periodo. Nel frattempo l’ambiente montano, che dovrebbe essere uno dei nostri grandi investimenti per il futuro, viene alterato e modificato a piacimento.
Eppure alla fine le colpe dei ritardi e delle mancate realizzazioni ricadranno sugli ambientalisti che hanno ostacolato un percorso virtuoso e lungimirante. Chiedere di rispettare le regole, di cercare risposte condivise, di pianificare gli interventi in un’ottica di rispetto ambientale è un atteggiamento antiquato e miope, poco consono ad una visione moderna della società sempre più “liquida” e meno interessata alle pareti solide delle rocce, ormai ridotte ad un fondale in dissolvenza.