Cambiare il Partito democratico, recuperare “un’identità chiara“, senza ambiguità. E decidere con il Congresso “chi voler rappresentare” e quale debba essere “il blocco sociale di riferimento”. Altro che ‘vocazione maggioritaria’ rispolverata dallo sfidante Stefano Bonaccini. Per Elly Schlein è il momento delle scelte. Così dal palco di un locale notturno sull’Ostiense, a Roma, cerca di galvanizzare i suoi sostenitori, in vista del voto nei circoli democratici e delle future primarie.
Crede nella rimonta, al di là dei sondaggi: “Sono certa che vinceremo, il partito nuovo e che vogliamo è già qui”, rivendica, tra giovani amministratori dem, studentesse e studenti medi e universitari, rappresentanti di associazioni. E con in platea ad ascoltarla dirigenti di spicco come Andrea Orlando, Michela De Biase – moglie di Dario Franceschini, il coordinatore della mozione Francesco Boccia, parlamentari come Marco Sarracino, Chiara Gribaudo, Antonio Misiani, Marco Furfaro. Ma non solo. Perché nella tappa romana del suo tour elettorale, Schlein incassa soprattutto il sostegno e l’endorsement di Nicola Zingaretti, l’ex segretario Pd che si dimise quasi due anni fa dicendo di ‘vergognarsi del proprio partito’, schiavo del correntismo, in balia della fame di potere e poltrone.
“Faccio un passo di lato per invitare il gruppo dirigente a un confronto più schietto”, spiegò allora, tra attacchi incrociati e guerriglia interna al Nazareno. Non sembra essere servito, secondo il governatore uscente del Lazio: “Se il Pd è rimasto lo stesso? Le mie parole di denuncia non erano uno scatto di nervi, ma un grido di allarme. Purtroppo quanto accaduto in seguito, anche dopo il 25 settembre (post elezioni, ndr), conferma che il gruppo dirigente del Pd non ha avuto il coraggio di dare alla crisi una risposta collettiva con la Costituente”. Di fatto, congelata e rinviata al post Congresso. “È stato detto ‘lo faremo’, ma poi ancora una volta non si è avuto il coraggio di farlo. Questo è uno dei motivi principali che mi ha spinto a sostenere Elly Schlein, perché è la speranza per tenere viva questa voglia di cambiamento, è l’ipotesi più credibile“. Perché, insiste Zingaretti, “troppo spesso si dice di voler cambiare tutto per poi non cambiare nulla, ma poi gli italiani se ne accorgono e non siamo più credibili”.
Tradotto, basta gattopardismo: “Per me quella ferita delle dimissioni oggi si chiude, questa volta dobbiamo andare fino in fondo. E io farò di tutto perché il Pd abbia finalmente una donna come segretaria”, continua l’ex presidente della regione Lazio. Schlein applaude, lo abbraccia sul palco, spiega di voler recuperare l’eredità della sua ‘Piazza Grande’ e di voler “proseguire quel tentativo di cambiamento”. “Stiamo attraversando il paese da Sud a Nord per rilanciare un’identità forte e coerente e ritrovare credibilità sul contrasto alla precarietà, all’emergenza climatica, sulle diseguaglianze. Sono aumentate enormemente in questi ultimi dieci anni tra crisi economica e crisi pandemica. Mi sembra che la maggioranza del Paese sia quella di chi fa più fatica e di chi si è impoverito, e quella è la maggioranza che noi dovremmo avere la vocazione di rappresentare”, spiega al Fattoquotidiano.it. E poi continua la stoccata verso Bonaccini, pur senza citarlo: “Sento dire altri candidati che i contratti precari devono costare di più alle aziende, ma non basta. È il lavoro precario che non deve esserci più. Bisogna porre dei limiti ai contratti a termine, come in Spagna”. Per poi tornare a bollare il renziano Jobs Act e il decreto Poletti collegato, che estese proprio i contratti a termine, come “un errore“. Al contrario, il Pd che Schlein ha in mente è un partito “dove diritti sociali e civili sono inscindibili” e che deve essere “ossessionato dalla lotta alla precarietà”: “Redistribuzione’ deve essere una parola scolpita nella nostra bandiera”.
La rottamazione di renziana memoria, invece, non è di casa. Perché, rispetto a chi l’ha preceduta, Schlein spiega di non considerarsi ‘migliore’: “Insieme possiamo cambiare il Pd”. E non sembra un caso che alla fine l’intervento più apprezzata in sala, tra una platea giovanissima, sia stato quello appassionato di Livia Turco: “Diciamoci la verità, ci siamo profondamente umiliate quando la prima donna premier è stata Giorgia Meloni, ma ora un po’ di orgoglio. Lei ha nel simbolo quella fiamma che è stata sempre contro tutte le lotte delle donne. Ora Elly puoi riscattarci. Si chiama sorellanza e forza del Noi. La sinistra rinasce da qui”.