Nella sua prima uscita da presidente dell'associazione continentale dei costruttori (ACEA), il manager italiano a capo del gruppo Renault ha fatto il punto sulle necessità del comparto: "I leader dell'UE devono mettere in atto una politica industriale ambiziosa e strutturata per il settore automobilistico, in grado di competere con quelle di altre regioni del mondo"
“Il nemico è l’inquinamento, non una particolare tecnologia“. Per il suo debutto mediatico come numero uno dell’ACEA (l’associazione dei costruttori europei) Luca De Meo ha ripreso lo stesso concetto (e quasi le stesse parole) con cui Akio Toyoda, ormai ex amministratore delegato di Toyota, aveva approcciato la transizione energetica ammonendo sui rischi dell’affidarsi alla sola opzione elettrica per la decarbonizzazione.
De Meo ha sottolineato come l’automotive europea abbia a lungo detenuto un vantaggio competitivo grazie ai motori termici, ma non sarà più così con l’elettrico. “Siamo a un punto di svolta. Dobbiamo agire come squadra, non singolarmente e focalizzarci sulle soluzioni che generino valore per gli operatori del comparto, i cittadini e le istituzioni. L’industria dell’auto ha un peso rilevante: 13 milioni di posti di lavoro, 30% investimenti in ricerca e sviluppo complessivi a livello europeo, 18% della mobilità della gente. Numeri che rimarranno simili fino e oltre il 2050. L’automotive è e sarà uno dei pilastri della nostra economia, e anche un punto fermo nella concorrenza del nostro continente con il resto del mondo”.
Proprio per questo il top manager, attualmente a capo del gruppo Renault, ha posto l’accento sulle difficoltà che sta incontrando l’industria automotive continentale, alle prese con il passaggio all’elettrificazione complicato dalle misure protezionistiche decise dagli Usa e dallo strapotere della Cina sulle materie prime: ” I nostri concorrenti hanno molte carte in mano che noi non abbiamo ancora, in particolare a monte della catena di fornitura dei veicoli elettrici a batteria. Inoltre, il loro sostegno da parte delle autorità nazionali e locali è stato massiccio e continua ad aumentare in Cina e negli Stati Uniti. Il bando ai veicoli a combustione interna deciso dall’UE nel 2035 impone poi ai costruttori europei una sfida trasversale. Ci stiamo prendendo rischi, compresa la nostra stessa sopravvivenza: le auto elettriche sono una sfida”.
Entrando nello specifico, il 40% del prezzo di un’auto elettrica è rappresentato dalla batteria, e l’80% del costo di questa è dato dalle materie prime che la compongono. “E che non controlliamo”, spiega De Meo. Che aggiunge: “Dal 2030 non più del 5% delle materie prime per le batterie sarà prodotto in Europa: litio e cobalto andranno alle stelle, senza possibilità di controllo da parte nostra”.
Dobbiamo dunque rassegnarci a spendere sempre di più per acquistare un’auto a batteria? Per De Meo è più che altro una questione di tempo: “Ci si aspetterebbe che le nuove tecnologie siano meno costose di quelle vecchie, ma non è così all’inizio. Perché ci sono investimenti ingenti, e anche sulle auto elettriche bisogna produrre margini. Serve aspettare che si inneschino le economie di scala, prima che i prezzi scendano”.
Secondo il manager italiano il problema sta anche nell’introduzione dei nuovi limiti alle emissioni Euro7, in vigore dal 2025: “Le nuove auto costeranno 2.000 euro in più ciascuna, perché i costruttori devono distrarre risorse dagli investimenti sulle elettriche. La deadline è troppo breve”.
La politica dell’Unione Europea, nondimeno, sarà cruciale nell’affrontare la sfide che si prospettano, in primisi quella della decarbonizzazione. “Nel 2012 c’erano solo 10 marchi a produrre auto elettriche, ora sono 25. Per un totale di 40 modelli EV offerti. Ma la maggior parte dei punti di ricarica, e questa è una nota dolente oltre a quella dei costi, sono concentrati in soli due paesi: Olanda e Germania”. E’ logico che si debba intervenire per sanare queste disuguaglianze.
Disuguaglianze che si riscontrano anche nei diversi modi in cui viene recepito l’elettrico nel’UE: “Ci sono due velocità, inutile nasconderselo. Bisogna incentivare il mercato, sia dei privati che quello commerciale. Bisogna lavorare con le istituzioni perché la transizione è più complicata per nazioni come Spagna, Portogallo o Italia. Non possiamo costringere i cittadini di questi paesi a rinunciare all’auto”.
Tornando alle misure protezionistiche degli Stati Uniti, infine, per De Meo “stiamo andando oltre il principio di reciprocità che dovrebbe regolare gli scambi internazionali. Il governo americano sta mettendo molti soldi, ed è logico che voglia proteggere la propria industria: tramite l’Inflation Reduction Act (IRA), vediamo che gli USA stimolano la loro industria nella transizione verde, mentre l’approccio dell’Europa è quello di regolamentare il settore, spesso in modo non sincronizzato. Ma anche noi produciamo auto globali, che devono essere tali per essere profittevoli anche se vengono prodotte localmente o disegnate in Europa”.
La soluzione potrebbe essere una risposta simile da parte dell’Europa? ” L’Acea non vuole protezione, ma regole certe che consentano di essere competitivi. La politica UE deve puntare a facilitare l’accesso ai finanziamenti, deve semplificare il quadro normativo e renderlo chiaro. E’ questa la risposta nei confronti di Usa e Cina. Perché l’automotive è un asset importante per il continente europeo, per i numeri che ho dato prima”, ha concluso il manager.