A raccontare quanto accaduto a Fermo, nelle Marche, è Francesca, la padrona di Kiran, che a Today ha ricostruito quanto accaduto
Cacciatori uccidono un cane e ridono in faccia al padrone affranto. L’ennesimo atto di inutile e primitiva barbarie della caccia si è verificato a Fermo, nelle Marche. A morire per un altro sparo a caso, spesso vicino alle abitazioni di campagna o collina, è stato un cane di un anno e mezzo di nome Kiran. L’animale passeggiava assieme ad altri suoi compagni e al suo padrone in un’area privata di 30 ettari attorno alla propria abitazione. Come ha precisato su Today la proprietaria di Kiran, una parte del terreno non è recintata ma come si sa, cacciatori e soprattutto selecontrollori (che sono sempre cacciatori ma autorizzati dalle istituzioni pubbliche), talvolta rischiano di essere più pericolosi degli animali che dicono di “cacciare”. La dinamica della morte di Kiran, però, è stata terribile e altamente volontaria. Perché il padrone del cane, il compagno della signora Francesca, stava facendo passeggiare nella sua area di proprietà i suoi undici cani e sentendo i soliti terrificanti spietati spari a distanza ravvicinata ha comunicato ai cacciatori la sua presenza, chiedendo di fare attenzione proprio ai cani. Rientrato in casa però l’uomo non ha più visto il povero Kiran. Tornato nella zona dove i cacciatori si stavano dilettando ad ammazzare animali selvatici senza alcun controllo di sorta, l’uomo si è avvicinato nell’area dove aveva sentito i primi spari cercando disperatamente il proprio cane, trovandolo senza vita con i cacciatori che hanno subito negato di averlo ucciso nonostante il cane avesse un foro di fucile di grosso calibro sul corpo. “Soltanto in un secondo momento i cacciatori hanno ammesso di aver sparato al cane. E soltanto dopo un’accesa discussione e un loro tentativo di fuga, siamo riusciti ad andare in questura e a denunciarli”. Francesca ha poi aggiunto: “Non solo, neanche mi hanno chiesto scusa, ma anzi, quasi mi ridevano (i cacciatori ndr) in faccia mentre piangevo. Nessuno da quel giorno ad oggi, ha mai alzato il telefono per chiamarmi e dirmi ‘scusa, è stato un errore’. È inaccettabile pensare che ci sia qualcuno che spara nella mia proprietà, all’ora di pranzo, in pieno giorno”.
Caccia autorizzata in prossimità delle abitazioni. Quello che ha vissuto la signora Francesca è quello che capita spesso a chi vive sulle colline appena fuori dalle grandi città soprattutto nei territori emiliano-romagnolo, toscano, umbro e marchigiano. O si tratta di cacciatori tout court oppure si tratta di caccia autorizzata dalle città metropolitane o dalla vecchia polizia provinciale che sostanzialmente demanda ai cacciatori stessi di “selezionare” animali in sovrannumero o “pericolosi” (per le colture agricole e per gli esseri umani) abbattendoli indiscriminatamente. In molte battute, capita che questi si avvicinino anche a poche decine di metri dalle abitazioni o ai giardini di queste, magari avvisando con piccoli cartelli A4 appesi nottetempo a due-tre alberi tra diverse migliaia. Tanti i casi di battute di caccia che finiscono con “errori” di tiro o con episodi di rara e indicibile crudeltà. È il caso recente, ad esempio, sollevato da una consigliera regionale dell’Emilia-Romagna, Giulia Gibertoni, che ha denunciato lo svolgimento di una battuta di caccia in prossimità delle abitazioni attorno a Pianoro, sulle colline bolognesi, battuta che è proseguita, malgrado le proteste dei residenti che avrebbero chiesto ai cacciatori il rispetto della distanza di sicurezza dalle abitazioni. Questa battuta di caccia è finita sui social in quanto ha avuto un tragico epilogo: i cacciatori hanno abbattuto, ritratti in foto e video consegnati poi ai carabinieri, un esemplare di lupo colpevole di avere nuociuto ai loro cani da caccia.