Trasformare una notizia riservata in un coltello da esibire in Parlamento per sfregiare l’avversario è un capitombolo verso i peggiori anni della storia della Repubblica.
Che Fratelli d’Italia avesse un problema di qualità della sua classe dirigente e che l’impetuosa ascesa nella classifica del potere lo ponesse ancor più in evidenza era chiaro a tutti, naturalmente prima degli altri a Giorgia Meloni. Ho incrociato in televisione qualche volta Giovanni Donzelli negli anni scorsi e la cifra stilistica del suo pensiero era già nota. Tono da polemista impenitente, il piacere di ingaggiare battaglie verbali anche oltre i confini della prudenza, l’amore per l’iperbole lo conducevano dritto tra le presenze immancabili nei talk show.
Il problema per Donzelli è che poi è giunta l’ora anche per lui di governare, anzitutto le parole. Ecco che la questione si è fatta complicata e – come dimostra la scorribanda su Cospito – l’infervorato ha subito immaginato con gusto il piacere di fare caciara.
Un piacere tale che Donzelli non si premura di valutare gli effetti politici sull’ufficio del suo compagno di partito e coinquilino Andrea Delmastro, avvocato di fiducia di Giorgia Meloni ma soprattutto sua longa manus al Ministero della Giustizia nel quale è insediato come sottosegretario. Delmastro ha passato a Donzelli notizie che non poteva dare e soprattutto l’ha fatto presumendo – vista la confidenza tra i due – l’utilizzo assolutamente sconveniente.
Arrivare in Parlamento e sputare fuoco sul Pd, allungare su Cospito l’ombra dell’intesa con la mafia sul 41bis e risolvere con gli anarchici la partita a tavolino.
Oggi Delmastro si gioca la poltrona, Donzelli la lingua. Il problema di Meloni è come di quegli allenatori con la panchina corta: non c’è nessuno in grado di giocare decentemente. Perciò i due – benché già azzoppati – resteranno in campo.