di Pietro Francesco Maria De Sarlo
Se avessi la certezza di una reale volontà di stabilire in modo corretto i Lep (Livelli Essenziali nelle Prestazioni) e di finanziarli mi metterei tranquillo in poltrona con popcorn e Coca cola a godermi lo spettacolo. Già, perché definire i Lep significa definire il ‘minimo della pena’ uguale per tutti i territori italiani. Ma quanto costa? Secondo Svimez almeno 100 miliardi. Già questo mette una pietra tombale su quello che è stato uno dei luoghi comuni storici della pubblicistica antimeridionale: al sud lo Stato elargisce prebende, ricchi premi e cotillon sottraendo risorse ai meschinelli del nord che sgobbano e pagano per tutto e tutti.
Presupposto peraltro smentito anche dai Cpt (Conti pubblici territoriali) che ripartiscono più di mille miliardi di spesa pubblica corrente tra le regioni italiane. Dati che incrociati con quelli del Pil pro capite regionale mostrano che già oggi le regioni più ricche godono di maggiore spesa pubblica, con un coefficiente di correlazione elevatissimo di 0.78, e che la spesa sociale ha una correlazione inversa rispetto al Pil di -0.83. D’altronde se, come ci ha spiegato Luca Ricolfi ne Il sacco del Nord, il tenore di vita al sud è superiore a quello del nord perché al sud godono di maggiore tempo libero per la disoccupazione, è giusto che si indirizzi la spesa sociale più a via Brera a Milano che a Scampia a Napoli. Logico, no?
Oltre a questa tiritera del sud sanguisuga e del nord operoso, c’è quella antropologica. Da 160 anni ci dicono che se c’è il divario nord-sud la colpa è dei meridionali che sono sfaticati, imbroglioni, mafiosi e camorristi. Il ‘laurà e rimboccarsi le maniche’ manco sanno cosa sia sotto il Po, almeno finché permangono in terronia. E poi vuoi mettere il familismo amorale? Ma il sud è povero perché c’è il familismo amorale o c’è il familismo amorale perché è povero? A saperlo! Il fatto che la spesa pubblica al sud sia una frazione di quella del nord, che non ci siano infrastrutture, che non ci siano vie di commercio e che si sia abbandonata ogni politica di espansione dell’Europa verso il Mediterraneo non rileva nulla? La pigrizia mentale di intellettuali ed economisti nutrita amorevolmente con la comoda favoletta antropologica, che giustifica ogni divario passato presente e futuro, rende inutile ogni discussione. Perché porsi altre domande quando è chiaro come il sole che, insomma… sono terroni!
E i Borboni? Emanuele Felice nel suo libro Perché il sud è rimasto indietro ricorda che il divario nord-sud era presente già al momento dell’Unità d’Italia, anche se in misura molto ridotta rispetto alla vulgata. Poi, cosa su cui concordano tutti gli storici ed economisti dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, di destra e di sinistra, ricorda che dall’Unità ad oggi il divario è aumentato a dismisura. Do una notizia a Felice e agli altri: i Borboni dal 6 settembre 1860 non hanno più avuto nessuna responsabilità nella conduzione degli affari del Belpaese, neanche un incaricuccio da sottosegretario. Quale sarebbe la conclusione logica visto che intellettuali, politici, imprenditori, economisti liberisti e keynesiani, ceto dirigente e politico che si è affannato a condurre questo Paese verso il fulgido sol dell’avvenire con i Savoia, Mussolini, la prima e la seconda Repubblica hanno fatto al sud peggio dei Borboni avendone peggiorato il lascito?
Magari significa il mantra: se il nord parte, il Paese è la bufala più colossale mai venduta nella storia; oppure che non abbiamo mai avuto un ceto dirigente nazionale. Ma Felice, invece di seguire la logica, fa il solito polpettone antropologico e sui Borboni. Autonomia differenziata significa la secessione di fatto, certificando per legge e per sempre il divario nord-sud. E gli intellettuali che dicono? Non hanno tempo perché il problema dirimente per il nostro futuro è la presenza di Dino Giarrusso sul palco vicino allo ‘spaccaitalia’ Stefano Bonaccini. E poi la colpa è dei terroni?