di Giulia Capitani*
Il 2 febbraio cade il sesto anniversario della firma del Memorandum Italia-Libia promosso dal governo Renzi nel 2017 e sempre riconfermato da tutti gli esecutivi che si sono succeduti. Il sesto anniversario di una ferita alla democrazia e alla dignità umana che si allarga sempre di più ad ogni naufragio e ad ogni testimonianza terribile che ci arriva dai centri di detenzione libici dopo che le persone sono state rintracciate in mare dai guardacoste, che noi tutti finanziamo in quanto contribuenti dello Stato, e riportate indietro. Circa 90mila in sei anni.
Quest’anno l’anniversario dell’accordo coincide anche con l’arrivo in Parlamento del Decreto Legge n° 1 del 2 gennaio 2023 che deve completare il suo iter di conversione in legge. Il primo decreto dell’anno del governo Meloni, com’è ormai noto, non riguarda lo spaventoso aumento della povertà e delle diseguaglianze, l’impoverimento del sistema sanitario pubblico, la sicurezza sul lavoro – solo per citare alcune delle reali emergenze del nostro paese. Ma stabilisce nuove, peraltro illegittime, sanzioni per meno di 20 imbarcazioni che operano nel Mediterraneo gestite da organizzazioni non governative e dedite al soccorso di naufraghi in quel braccio di mare.
Il testo, brevissimo e volutamente generico, è stato oggetto di un acceso dibattito nelle Commissioni parlamentari riunite Affari Costituzionali e Trasporti, anche grazie alle audizioni delle Ong e delle associazioni, a cui come Oxfam abbiamo partecipato. Nonostante la dichiarata inammissibilità di una serie di emendamenti proposti dalla Lega, arriverà in aula appesantito da richieste di modifiche e integrazioni che lo renderanno ancora più “disumano”. Perché purtroppo non si può usare altro termine, per una legge che mira a sguarnire un mare pieno di naufraghi dalle navi dei soccorritori.
Gli effetti del decreto anti-Ong: niente testimoni scomodi dei naufragi e mano libera alla Guardia Costiera libica
I primi risultati si sono comunque già visti in queste settimane: oltre all’indecente diatriba sul numero di salvataggi “consentito” alle navi di ricerca e soccorso, vengono sistematicamente assegnati porti di sbarco a diversi giorni di navigazione dal luogo di salvataggio.
Lunghissime e immotivate deviazioni che raggiungono il duplice scopo di pesare sui bilanci delle organizzazioni (una nave Sar può consumare fino a 15mila euro di carburante al giorno) e di allontanare scomodi testimoni dal Mediterraneo centrale, lasciando campo libero alla cosiddetta Guardia Costiera libica per agire, o non agire, come le aggrada.
Due interventi che hanno lo stesso obiettivo
Memorandum e decreto sono infatti complementari e funzionali allo stesso sistema: nessun intervento sulle cause strutturali delle migrazioni (che con il nostro calo demografico dovremmo incentivare e non bloccare), business della detenzione dei migranti, alimentazione del traffico internazionale di esseri umani, tortura e morte. Sono oltre 20.000 le persone scomparse solo nel Mediterraneo centrale dal 2014: come se l’intero comune di Frascati fosse sprofondato nel mare con tutti i suoi abitanti. Già in questo primo mese del 2023 le persone affogate sono più di 30.
Nuovi accordi con la Libia nonostante le ripetute violazioni dei diritti umani, in un paese sempre più instabile
Queste giornate sono poi fitte di avvenimenti a ben vedere tutti collegati tra di loro. Il 29 gennaio, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, accompagnata da Antonio Tajani e Matteo Piantedosi, si è recata a Tripoli per la firma di un accordo. In realtà di due.
Il primo, a cui è stato dato amplissimo risalto, è quello tra Eni e la National Oil Corporation libica, che riguarda un investimento di otto miliardi di euro per aumentare la produzione di gas. Negli ultimi anni le forniture dalla Libia verso l’Italia si sono drasticamente ridotte fino a rappresentare l’anno scorso appena il 4% dell’intera quantità importata dal nostro paese. Ma la crisi energetica dovuta alla guerra tra Russia e Ucraina ha rinvigorito la spinta verso il Nord Africa – Meloni è stata recentemente anche ad Algeri – tanto da parlare di un “Piano Mattei”. Peccato che il paese su cui tutti puntano come l’asse dell’equilibrio economico e politico del Mediterraneo continui ad avere due governi, due presidenti e un territorio controllato da milizie private e bande armate, molto spesso colluse con le organizzazioni criminali dedite al traffico di esseri umani.
Il secondo accordo riguarda la “cooperazione con l’autorità libica in relazione alla Guardia Costiera”: al momento si prevede la consegna, da parte dell’Italia, di cinque nuove motovedette che vanno ad aggiungersi all’amplissima dotazione, in termini di mezzi, formazione e manutenzione, già fornita dalla Libia dall’Italia. Cosa la cosiddetta Guardia Costiera libica faccia con le nostre motovedette è ormai fin troppo noto. Video incontrovertibili si moltiplicano: ripescaggi di persone che vengono riportate indietro con la forza, minacce e aggressioni ai soccorritori delle Ong. Inseguimenti e speronamenti di barche di migranti in fuga. Appena pochi giorni fa l’equipaggio della Geo Barents, che aveva segnalato via radio la presenza di un uomo in mare, si è sentito apostrofare precisamente in questo modo dai guardacoste finanziati con denaro pubblico italiano: “State lontani figli di puttana. State lontani o vi spariamo”. Dev’essere questo quello che avevano in mente gli stati firmatari delle convenzioni internazionali quando parlavano di “collaborazione per la salvaguardia della vita in mare”.
La mancanza di trasparenza nella gestione dei fondi alla Libia
In realtà i contatti diplomatici per implementare l’accordo Italia-Libia in questi anni non si sono mai fermati, per lo più ignorati dalla stampa. Anche lo scorso 28 dicembre una delegazione composta da membri del Viminale e delle nostre forze di Polizia si è recata a Tripoli per incontrare il neo designato ministro dell’interno libico, Al-Trabelsi, e discutere dei piani di contrasto all’immigrazione illegale messi in piedi dal Paese nordafricano. Che ovviamente non sono pubblici. Quello dell’assoluta mancanza di trasparenza nella gestione di fondi destinati alla Libia è infatti un altro grande tassello del problema.
Resta l’immagine di un mare percorso in superficie da pericolanti barche di persone in fuga, considerate nemiche, contese tra soccorritori e miliziani spesso destinate ad affogare e attraversato in profondità da miliardi di metri cubi di gas che scorrono nei gasdotti. C’è da domandarsi se Enrico Mattei avrebbe voluto che il suo nome fosse associato a tutto questo.
*Policy advisor su migrazione e asilo di Oxfam Italia