Non si trattava di un teorema degli ambientalisti o di un semplice sospetto. Nella produzione di mele in Alto Adige l’utilizzo dei pesticidi è stato, almeno nel 2017, “ininterrotto per svariati mesi”, pure con “esposizione multipla” di diversi prodotti. Una mela avvelenata è l’eredità – sotto forma di dossier e finora inedita – lasciata dal processo che si è concluso lo scorso anno a Bolzano con l’assoluzione di Karl Bär, all’epoca referente per l’agricoltura dell’Istituto ambientale di Monaco di Baviera (Umweltinstitut München). Era accusato di diffamazione ai danni dell’agricoltura altoatesina a seguito delle querele presentate dall’assessore provinciale Arnold Schuler e da un migliaio di operatori del settore. La Procura di Bolzano aveva fatto sequestrare i dati di utilizzo dei pesticidi degli agricoltori querelanti, ovvero dei libretti che ogni azienda è tenuta ad aggiornare con l’indicazione dei prodotti e delle quantità applicate ai meleti. In quanto prove, erano entrate nella disponibilità della difesa e hanno provocato un formidabile effetto boomerang.

È una banca dati dal valore unico, visto che a livello europeo non esiste trasparenza sull’uso dei pesticidi. L’Umweltinstitut ha analizzato i libretti di 681 aziende frutticole della Val Venosta, che operano su 3.124 ettari, più della metà degli oltre 5mila ettari destinati a meleti. L’Alto Adige è la più grande regione frutticola contigua d’Europa, visto che i meleti si estendono su circa 18 mila ettari, con una produzione che nel 2021 è stata di circa 935mila tonnellate. Il dossier è composto di 97 pagine. “I dati dimostrano l’impiego di principi attivi estremamente pericolosi, l’ininterrotto utilizzo di pesticidi per svariati mesi e l’esposizione multipla a più pesticidi, il cosiddetto effetto cocktail”, concludono i ricercatori. Un esempio? “Dall’inizio di marzo alla fine di settembre, in Val Venosta, non vi è stato un solo giorno di arresto alle irrorazioni. Nella stagione di coltivazione 2017 ogni meleto è stato trattato con principi attivi provenienti da chimica di sintesi in media 38 volte”. Affermazioni contestate dai produttori altoatesini e dall’assessore all’agricoltura della Provincia di Bolzano, Arnold Schuler, che a ilfattoquotidiano.it spiega: “Questo è un tipico esempio di come si può comunicare per mettere in cattiva luce l’industria frutticola altoatesina. La quantità è relativa, perché ciò che conta è quali prodotti vengono utilizzati”.

Etofenprox “usato con maggior frequenza” – Secondo i ricercatori, su un totale di 83 principi attivi utilizzati, 17 erano già presenti nell’elenco ufficiale dei candidati alla sostituzione dell’UE nel 2017. “In Val Venosta hanno rappresentato il 13 per cento di tutte le applicazioni fitosanitarie. L’Etofenprox rientra tra le sostanze applicate con maggior frequenza ed è stata utilizzata dall’89 per cento delle aziende. L’Etofenprox è pericoloso, tra gli altri, per gli organismi acquatici, le api da miele e gli insetti utili. Il neonicotinoide Thiacloprid è stato utilizzato dal 65 per cento delle aziende, nonostante sia potenzialmente tossico per la riproduzione e verosimilmente possa provocare il cancro; infatti l’uso di questo principio attivo non è più consentito dalla UE”. Gli agricoltori hanno giustificato l’uso per combattere due malattie fungine: ticchiolatura del melo e oidio. “Questa infestazione – è scritto nella ricerca – potrebbe essere regolata coltivando altre varietà di mele resistenti al fungo”.

Il 90% dei trattamenti “a base di sostanze chimiche” – Fabian Holzheid, referente politico dell’Istituto, spiega: “Proprio nel rinomato territorio turistico dell’Alto Adige/Südtirol, dove la coltivazione delle mele viene pubblicizzata come ‘naturale e sostenibile’, vengono impiegate quantità massicce di pesticidi. L’analisi dimostra che le nostre critiche erano assolutamente lecite e non diffamatorie”. La ricercatrice Christine Vogt aggiunge: “Quasi il 90 per cento di tutti i trattamenti con pesticidi effettuati erano a base di sostanze chimiche di sintesi. Esistono però misure alternative e più sostenibili. L’erbicida totale glifosato, che l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Oms ha classificato come ‘potenzialmente cancerogeno’, risulta il quinto pesticida più comunemente impiegato nei meleti. È stato rilevato anche il ‘clorpirifos metile’, attualmente vietato, che può causare disturbi dello sviluppo neurologico dei bambini in stato embrionale”.

I principi attivi dannosi per gli insetti – Dal dossier emerge che in quasi un quarto di tutti i trattamenti con pesticidi sono stati impiegati principi attivi considerati dannosi per gli insetti utili, come gli Icneumonoidei (una famiglia di vespe). “In oltre la metà dei trattamenti si evidenzia l’applicazione in contemporanea di più agenti chimici. Si riscontra come nello stesso giorno siano stati spruzzati fino a nove agenti diversi, nonostante ci siano chiare evidenze in merito al cosiddetto effetto cocktail, e quindi alla possibilità di modificare o intensificare gli effetti dannosi su uomo e ambiente da parte di una miscela di pesticidi diversi”.

“Serve l’immediato stop ai pesticidi più pericolosi” – A finire sotto accusa è anche il fatto che le aziende melicole convenzionali altoatesine operano in base alle linee guida del Gruppo di lavoro per la frutticoltura integrata (Agrios). Al riguardo, Holzheid avverte: “Secondo le direttive dell’Alto Adige è fondamentale tutelare la salute dell’uomo e dell’ambiente, mentre l’uso delle sostanze chimiche di sintesi deve essere ridotto al minimo. La nostra analisi porta a chiederci se la certificazione ‘frutticoltura integrata’ non serva principalmente a scopi di marketing”. La conclusione è lapidaria: “Serve l’immediato divieto dell’uso dei pesticidi più pericolosi e degli erbicidi nei frutteti altoatesini. Inoltre, vanno eliminati gradualmente i pesticidi chimici di sintesi in tutta Europa entro il 2035, come richiesto dall’iniziativa ‘Salviamo api e agricoltori’, di cui l’Umweltinstitut München è uno dei promotori”.

La replica dell’assessore: “Il 90% degli insetticidi è biologico” – L’assessore all’agricoltura della Provincia di Bolzano, Arnold Schuler, anche a nome dei produttori, contesta lo studio dell’Istituto tedesco. “Innanzitutto era stato concordato che avremmo discusso questi dati pubblicamente con l’Umweltinstitut, ma purtroppo non hanno rispettato l’impegno. Ancora una volta si dà l’impressione che non rispettiamo le regole e utilizziamo quantità eccessive di prodotti fitosanitari”. Poi aggiunge: “So quali progressi ha fatto l’industria frutticola altoatesina, che in oltre 40 anni di produzione integrata ha usato con attenzione i pesticidi ed ha cercato alternative. Nei frutteti non guardiamo solo a quanti parassiti ci sono, ma soprattutto a quanti insetti benefici ci sono e li favoriamo per ridurre al minimo l’uso di pesticidi. Continuiamo a leggere che in Alto Adige si utilizzano grandi quantità di prodotti fitosanitari per ettaro, ma questo è un tipico esempio di come si può comunicare per mettere in cattiva luce l’industria frutticola altoatesina. La quantità è relativa, perché ciò che conta è quali prodotti vengono utilizzati”. Quali? “In Val Venosta i registri mostrano chiaramente che degli insetticidi utilizzati, il 90 per cento è certificato come biologico e per i fungicidi è il 70 per cento”.

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