Si parla ormai da tanto della crisi del Servizio sanitario nazionale per mancanza di risorse economiche adeguate e per mancanza di personale. Nei prossimi 5 anni ci saranno circa 40.000 medici in meno rispetto agli attuali in servizio. Mentre per la salute degli italiani si continua a spendere meno che per le armi e si cerca di porre rimedio alla mancanza di medici proponendo di aumentare l‘età pensionabile degli stessi a 72 anni. Questa non può essere una soluzione.

Se solo pensiamo alla difficoltà che hanno gli ultra settantenni anche solo a rinnovare la patente. E’ impensabile che qualcosa di così delicato come la salute possa essere affidato a persone che dopo una vita di lavoro dovrebbero essere, giustamente, in pensione; anche perché non si può lavorare per il 90% della propria esistenza.

In merito all’aumento dell’età pensionabile va anche detto che la metà dei medici in servizio è donna e sulle donne ricade anche il carico assistenziale dei figli, dei genitori anziani e della famiglia in generale. E quando l’organizzazione del lavoro è tale da non permettere di fruire delle giuste pause di riposo (ogni anno vi sono circa dieci milioni di ore di straordinario non pagate e regalate alle aziende sanitarie) i tempi normali e umani di conciliazione vita lavoro diventano insostenibili. Per questo, soprattutto per le donne medico e per le donne in generale, si dovrebbe prevedere un’uscita anticipata dal lavoro, altro che aumento dell’età pensionabile.

Quali sono le soluzioni per rispondere alle difficoltà e alla carenza dei medici? Bisogna partire dal realizzare migliori condizioni di lavoro per il personale sanitario fin da subito. Oggi, infatti, la maggior parte dei medici impiega la metà del proprio tempo in mansioni di tipo amministrativo.

C‘è bisogno che si liberino i medici da incombenze burocratiche a partire dalle certificazioni di malattia dando la possibilità ai cittadini di autocertificarsi i primi tre giorni. C’è necessità d’incentivare la modalità di televisita, di abolire le note Aifa e la ripetitività dei piani terapeutici. Bisogna alleggerire i medici delle pratiche per certificazioni varie. In questo modo si semplificherebbe la vita dei pazienti e si darebbe ai medici la possibilità di utilizzare il loro tempo per dedicarsi all’attività clinica e all’assistenza di malati cronici e acuti.

Alla carenza di medici contribuisce anche il cosiddetto”imbuto formativo”, nonché il tetto di spesa all’assunzione di personale sanitario. Ogni anno in università si laureano circa 9000 medici. Di questi meno della metà accede ai corsi di formazione o di specializzazione post laurea e se un medico laureato non è specializzato o formato non può lavorare per il Sistema sanitario nazionale. D’altro canto se il Ssn si trova in una condizione di carenza di personale si rivolge a cooperative e/o a società di servizio che forniscono anche medici.

I medici così “somministrati“ – si tratta di una vera e propria “somministrazione lavoro” – non sono obbligati a possedere tutti i requisiti che vengono richiesti ai professionisti assunti direttamente dal Ssn, in linea con stringenti direttive europee sulla formazione che l’Italia è obbligata a rispettare. Neanche dei medici cubani assunti dalla regione Calabria per sopperire alla carenza di personale conosciamo il percorso formativo.

Le regioni non possono assumere personale per il tetto di spesa imposto dalla legge, ma possono acquistare beni e servizi. E in questi beni rientrano anche medici e infermieri che costano allo Stato molto di più perché tocca considerare anche il costo dell’intermediazione.

Il problema non è quello di abolire il numero chiuso per le facoltà di Medicina. Se si continua a mantenere il numero chiuso alle specializzazioni e alla formazione post laurea, la formazione viene finanziata con borse di studio, in parte statali e in parte regionali, tenute conto delle disponibilità economiche. Per porre riparo alla grave carenza di medici nel sistema pubblico c’è la necessità di tarare il fabbisogno di specialisti e di medici di famiglia sulle reali esigenze della popolazione da assistere. Si deve procedere a una massiccia campagna di assunzioni che preveda, per il personale sanitario, un’organizzazione e una retribuzione in linea con gli altri paesi europei.

Speriamo che non si pensi di porre riparo alla carenza dei medici di famiglia raggruppandoli tutti nelle cosiddette case di comunità costate miliardi di euro del Pnrr rischiando di eliminare dei presidi capillari e accessibili. Fino a poco tempo fa avevamo un medico di famiglia in ogni quartiere o in ogni piccolo paesino sperduto, mentre oggi sono più di tre milioni di italiani senza medico. Pensare di raggruppare i restanti nei presidi sanitari sarebbe una toppa peggiore del buco, a meno che non si pensi ad un’assistenza territoriale diversa da come l’abbiamo concepita sinora.

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