A chi servono le autostrade in Lombardia?

Gli spedizionieri lombardi non hanno bisogno di nuove grandi opere infrastrutturali e autostradali per lo sviluppo delle attività logistiche, ma di una regione che sappia gestire al meglio e in sicurezza le disastrate strade lombarde. Nel settore, secondo un recente studio della Luiss e delle Camere di commercio della Lombardia, operano 1.300 imprese per un fatturato complessivo di 22,4 miliardi l’anno e 95mila addetti. Sono più di 800 i capannoni utilizzati su 8,9 milioni di mq, e concentrati prevalentemente nelle provincie di Milano, Monza e Bergamo. Questa vera e propria proliferazione è stata consentita dalla mancanza di una pianificazione territoriale regionale e dai comuni che approvano varianti ai piani regolatori che snaturano il territorio, senza vere mitigazioni e compensazioni ambientali, incassando in cambio pochi spiccioli di oneri urbanistici. La qualità della vita dei territori periferici ha così subito un duro colpo. Corrieri, magazzini, spedizionieri e altri servizi del trasporto merci lombardi sono sullo stesso piano nella classifica delle 5 maggiori regioni logistiche europee: l’Ile-de-France, la Catalogna, l’Olanda e la Baviera.

La Lombardia, sempre secondo lo studio, è al pari delle altre regioni raffrontate per costi, efficienza, accessibilità e connettività della logistica. Emerge insomma che lo sviluppo non si fa costruendo nuove autostrade come la Broni-Mortara, la Pedemontana, la Cremona-Mantova o infrastrutture come la seconda cargo city a Malpensa, e che sulla competitività della logistica lombarda non hanno inciso in modo decisivo le semivuote autostrade Brebemi o Teem.

L’indagine della Luiss non ha però valutato i costi ambientali provocati da questo sviluppo caotico. La ricchezza viene prodotta; peccato però che le conseguenze ambientali – l’inquinamento, la congestione e l’alta incidentalità – non vengono valutate a causa dell’assenza della Regione.

Quello che serve ora nel settore della logistica, visto che le piattaforme della grande distribuzione e dell’intermodalità crescono come funghi attorno a Milano e nella pianura Padana, è una pianificazione e regolazione dello sviluppo di queste attività per tutelare un territorio che non può più fare a meno del poco verde che c’è se vuole evitare di essere ancora in futuro l’area più inquinata d’Italia e d’Europa.

La vera problematicità lombarda è quella di avere strade disastrate con – in alcuni casi – segnaletica risalente ancora al 2001, e un livello manutentivo (da cui dipende la sicurezza e la viabilità ordinata di automobili e Tir) quasi allo zero. Anas, che dovrebbe assicurare gli interventi manutentivi, oggi gestisce 2100 km di strade statali con 325 addetti, sotto organico di almeno 80 unità. I pochi che ci sono, peraltro, cercano di lasciare l’azienda perché oberati da carichi di lavoro ingestibili. Non a caso recentemente la regione, dopo aver constatato il fallimento del federalismo stradale, ha restituito 1000 km di rete che aveva avuto in gestione 20 anni fa dallo Stato pretendendo il trasferimento di queste competenze. Altro che autonomia differenziata. Il risultato è che le 230 gallerie e quasi un migliaio di ponti e viadotti delle strade statali sono in pessime condizioni, minando la sicurezza stradale: anziché pensare a nuove autostrade, la priorità dovrebbe essere la loro messa in sicurezza al più presto.

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