Tre anni e due mesi di reclusione, da scontare ai domiciliari, oltre al risarcimento danni nei confronti della parte offesa e il pagamento delle spese processuali. Si è concluso così il giudizio di primo grado nei confronti di Basilio Ceraolo, 72enne professionista di Capo d’Orlando (Messina), che a novembre del 2021 venne arrestato dalla guardia di finanza, con l’accusa di concussione per avere tentato di ottenere centomila euro da un imprenditore impegnato in un cantiere pubblico a San Marco d’Alunzio, piccolo borgo nel Parco dei Nebrodi.
A denunciare Ceraolo, che per quell’appalto aveva ricevuto l’incarico di direttore dei lavori, fu Fabio D’Agata, titolare della Consolidamenti speciali, la ditta di Acireale aggiudicataria dei lavori. L’imprenditore andò in procura e disse di avere ricevuto da Ceraolo la richiesta di utilizzare dei tiranti in acciaio più corti rispetto a quelli previsti dal progetto. Una scelta da cui sarebbe derivato un risparmio che, secondo la tesi degli inquirenti, Ceraolo avrebbe voluto spartire proprio con l’imprenditore, confidando nella complicità di quest’ultimo, e a spese degli uffici del Commissario per il contrasto al rischio idrogeologico che, ignari di tutto, avrebbero pagato le somme previste in origine.
Il rifiuto del titolare della ditta portò all’apertura dell’indagine e al successivo processo celebratosi con il rito abbreviato, per scelta dell’imputato e nella consapevolezza delle numerose intercettazioni agli atti dell’inchiesta. A pronunciare la sentenza, mercoledì primo febbraio, è stato il gup del tribunale di Patti Eugenio Aliquò, che ha dichiarato colpevole Ceraolo e riconosciuto all’imprenditore il diritto a un risarcimento da quantificare in sede civile. Chi invece ha deciso di non costituirsi come parte civile, pur essendo stata indicata dalla procura di Patti come parte offesa, è stato il governo regionale guidato da Renato Schifani. E questo nonostante negli ultimi anni la Regione Siciliana sia finita più volte al centro dell’attenzione per la gestione dei lavori pubblici, l’ultima delle quali proprio il 2 febbraio con l’inchiesta della Direzione investigativa antimafia di Messina riguardante alcuni appalti in mano all’ex Consorzio per le autostrade siciliane, ente di cui la Regione è socio di maggioranza.
Alla sentenza di primo grado si è arrivati poco più di un anno dopo dall’esecuzione della misura cautelare da parte delle Fiamme gialle. Altrettanta celerità, invece, non si è registrata nel cantiere a San Marco d’Alunzio: dopo l’arresto di Ceraolo, i tempi per la sostituzione del direttore dei lavori si sono prorogati e a distanza di mesi dalla nuova nomina i lavori non sono ancora ripresi. Una situazione che, nei mesi scorsi, ha portato l’imprenditore Fabio D’Agata a sostenere che se a denunciare i fatti fosse stata un’impresa meno solida, la stessa avrebbe corso il rischio di andare incontro a una crisi finanziaria.