A quattro anni quando tuo padre ti porta a spasso mano nella mano è una festa: ed è una festa stare accanto al vecchio Meteor a vedere la squadra della tua città, il Dnepr, con in panchina quel giovane allenatore che sembra un po’ matto e che tutti chiamano “Colonnello”. Poi il Dnepr, che sogna di partecipare per la prima volta alla Vissaya Liga, la massima serie sovietica, fa gol: tutti si abbracciano, gridano, saltano ed è allora che Oleh Valerijovyc Protasov decide che un giorno a farli saltare e abbracciarsi ci penserà lui.

A 12 anni è nelle giovanili del Dnepr, guarda da vicino il colonnello Lobanovskij portare la squadra in massima serie. A sedici anni è al torneo giovanile di Vitebsk, e con un suo compagno che gli starà accanto praticamente per tutta la carriera, Hennadij Lytovcenko, fa impazzire la difesa della Dinamo Mosca. A guardare la gara per la Dinamo c’è un arzillo vecchietto: Gavril Kacalin, ormai non allena più per questioni d’età, ma due dei tre successi internazionali della nazionale russa (all’epoca sovietica) sono arrivati con lui in panchina, l’oro alle Olimpiadi di Melbourne e soprattutto la vittoria dell’Europeo del ’60. Kacalin guarda i due ragazzi e a chi gli è vicino assicura: “Faranno strada”.

Già: Oleh è un centravanti, ma non di quelli statici a dispetto dell’altezza elevata, si muove molto ed è veloce, e poi sente la porta come pochi. Caratteristiche che lo portano a segnare tantissimo: dall’esordio nel 1981 all’ultima stagione al Dnepr nel 1987 segna oltre cento gol. In nazionale ci arriva già a 20 anni: al mondiale under 20 del 1983 l’Urss non è fortunata, ma in una memorabile partita si consumerà un duello che durerà per tutti gli anni ’80, troppo generosamente, tra lui e Marco Van Basten, entrambi in gol in una gara tra Unione Sovietica e Olanda.
I numeri del Dnepr e l’approdo in nazionale maggiore però significano una sola cosa: che Protasov entra in quella generazione plasmata da Valeri Lobanovskyi. Il Colonnello allena la Dinamo Kiev e contemporaneamente la nazionale dell’Unione Sovietica. Qualcuno sostiene siano la stessa cosa.

“Se vuoi giocare in nazionale devi venire alla Dynamo Kiev”, gli dice il Colonnello. E Oleh parte per Kiev, assieme ovviamente a Lytovcenko, nonostante la delusione terribile dei tifosi del Dnepr e anche dei dirigenti che tentano di ostacolare quel trasferimento. Tre volte capocannoniere del campionato russo, con la Dinamo e la nazionale che fanno parlare di loro per un modello di gioco innovativo, dove tutti fanno tutto, Protasov diventa l’oggetto del desiderio di moltissimi club europei, sebbene all’epoca fosse praticamente impossibile assicurarsi un calciatore sovietico.

A rendere questi desideri ancora più forti arrivano gli Europei del 1988, con l’Unione Sovietica che ai gironi batte Olanda e Inghilterra e in semifinale schianta l’Italia, proprio con gol di Protasov (e naturalmente, visto che il risultato finale è 2 a 0 per l’Urss, con gol anche di Lytovcenko) e in finale si arrende all’Olanda di Van Basten. In quel momento l’opinione generale è che i due migliori centravanti al mondo fossero proprio Van Basten e Protasov. Opinione troppo generosa, tuttavia, visto che il secondo praticamente non era mai stato valutato al di fuori del laboratorio di Lobanovskyi.

Prova a prenderlo la Juventus, esattamente 34 anni fa, con Agnelli impressionato da quella squadra e non scoraggiato dall’aver già condotto un pessimo affare con Zavarov: ma stavolta non riesce ad accaparrarselo. Sogno reciproco quello di andare a giocare in Italia, o in ogni caso fuori dall’Unione Sovietica dove lo stipendio per quanto alto rispetto ai connazionali è irrisorio rispetto ai fuoriclasse europei. Prima del mondiale italiano, nel 1989 la nazionale sovietica va in stage in Italia e mentre i ragazzi di Lobanovskyi abituati ad allenarsi due o tre volte al giorno si stupiscono della singola seduta mattutina o pomeridiana delle squadre italiane, ci riprovano Inter, Fiorentina e Roma per Protasov ma nulla, la federazione non lo lascia partire.

Molte cose cambiano però, con l’Unione Sovietica che si sgretola: ma il mondiale del 1990 che avrebbe dovuto essere una vetrina per quei gioielli non va bene. L’unica offerta che arriva per Protasov è dell’Olympiakos: non è una squadra italiana, ma va bene tutto. Anche stavolta però la federazione si mette di traverso dicendo che i calciatori che non hanno ancora compiuto 28 anni non possono andare all’estero. Protasov interviene con un’intervista durissima: “Non sono un servo”, dice, sostenendo che in un modo o nell’altro se ne andrà. E così è: anche se con ritardo il bomber passa ai greci, assieme a Lytovcenko.

In maglia biancorossa non fa male, ma, come tutti i calciatori usciti dal Laboratorio Lobanovskyi non fa neppure sfracelli: resta per quattro stagioni segnando circa 50 gol e vincendo una coppa di Grecia e una Supercoppa. Nel 1994 vola in Giappone: a Osaka, dove resta per due anni prima di tornare in Grecia a chiudere la carriera da calciatore e iniziare quella di allenatore. Il 4 febbraio compie 59 anni: chissà se l’avessero lasciato partire per l’Italia se oggi si racconterebbe di lui allo stesso modo, della suggestione di un periodo dimenticata molto presto.

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