Il medico è stato ritenuto colpevole per tutti i casi contestati. Le vittime avevano tra i 75 e i 90 anni, quattro di loro avevano patologie oncologiche, tutte avevano richiesto un intervento d’urgenza a causa dell’aggravarsi delle condizioni di salute
TRIESTE – Ha ucciso nove anziani con altrettante iniezioni letali. Il dottor Vincenzo Campanile, medico monfalconese ed ex anestesista del 118 di Trieste, è stato condannato dalla Corte d’assise per omicidio volontario. Una pena di 15 anni e 7 mesi, inferiore di dieci anni a quella chiesta dal pubblico ministero Cristina Bacer. I giudici hanno concesso all’imputato non solo le attenuanti generiche, ma anche l’attenuante di aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale. In una parola: ha ucciso per mettere fine alle sofferenze di quelle persone. Le iniezioni avevano inoculato potenti sedativi, tra cui il Propofol, nel corso di interventi di soccorso domiciliare.
La sentenza è stata letta dal presidente Giorgio Nicoli. Il medico è stato ritenuto colpevole per tutti i casi contestati. Le vittime avevano tra i 75 e i 90 anni, quattro di loro avevano patologie oncologiche, tutte avevano richiesto un intervento d’urgenza a causa dell’aggravarsi delle condizioni di salute. I fatti contestati risalgono a un periodo compreso tra il novembre 2014 e il gennaio 2018. L’inchiesta era iniziata dopo la morte di Mirella Michelazzi, 81 anni, che era stata soccorsa il 3 gennaio 2018 alla casa di cura “Mademar”. In quel caso Campanile aveva effettuato un’iniezione di Propofol. Il caso era stato segnalato dai colleghi all’Azienda sanitaria. La Procura di Trieste aveva così riaperto altri otto casi di decessi avvenuti a seguito dell’intervento del medico. Avevano fatto riesumare cinque salme per svolgere gli accertamenti autoptici.
Il pm Bacer aveva chiesto una pena di 25 anni e 6 mesi di reclusione. Durante la requisitoria ha affermato come la somministrazione del Propofol nell’ultimo caso fosse stata ammessa dal medico in una telefonata intercettata. Secondo il magistrato il movente era l’”espressione di una scelta ideologica”.
Gli avvocati dei familiari costituti parte civile (avvocati Antonio Santoro, Maria Genovese e Giuliano Iviani) hanno chiesto danni (in solido con l’Azienda sanitaria universitaria giuliano-isontina) pari a 200 mila euro per ogni figlio o coniuge, più somme minori per i nipoti. In totale si tratta di due milioni di euro. L’avvocato Santoro ha sostenuto la responsabilità dell’Azienda sanitaria considerando che il medico ha utilizzato strumenti che gli erano stati forniti (tra cui il Propofol) e il fatto che fossero già insorti dubbi sul suo operato.
L’avvocato Giovanni Borgna, difensore della struttura sanitaria, ha ribattuto che proprio l’Azienda aveva denunciato Campanile. Per questo ha chiesto un danno di immagine e morale per 400 mila euro. Secondo i difensori (Alberto Fenos e Manlio Contento) in tutti i casi il Propofol non avrebbe raggiunto il cervello delle vittime e quindi non sarebbe la causa dei decessi, anche perché non vi sarebbe la certezza che la dose inoculata fosse congrua per provocare la morte. I giudici hanno dichiarato la prescrizione per due reati di falso. Il medico aveva alterato la scheda dell’intervento, omettendo di indicare la sostanza letale iniettata e aveva dichiarato di aver effettuato un tentativo di rianimazione, anche con il defibrillatore.