Cinema

Bussano alla porta di M. Night Shyamalan è un thriller horror che rasenta la perfezione

Gli anglosassoni l’hanno fatto a pezzi. Gli italiani l’hanno apprezzato assai. Il regista de Il sesto senso Shyamalan appare hitchcockianamente in una televendita tra una sciagura televisiva e l’altra

di Davide Turrini

Gli anglosassoni l’hanno fatto a pezzi. Gli italiani l’hanno apprezzato assai. Per noi, Bussano alla porta di M. Night Shyamalan è un thriller horror della madonna. Il cineasta autore de Il sesto senso, magari discontinuo, qui torna proponendo un lavoro rigoroso e pulito su quello che potremmo definire il terrore esistenziale. Già perché alla casetta in mezzo al bosco, dove sta trascorrendo una breve vacanza una coppia gay con figlia cinesina adottata, giunge il mastodontico ma gentile Leonard (Dave Bautista) assieme a due donne e a un altro ragazzo (Rupert Grint, il Ron Weasley di Harry Potter). I tre tengono in mano armi medioevali e vogliono a tutti i costi entrare nel cottage dove si è improvvisamente asserragliata la coppia. L’obiettivo del manipolo però non è uccidere i due papà e la bimba, ma parlargli e dirgli che nelle loro mani, anzi nell’uccisione volontaria di uno di loro, c’è il destino del mondo.

I quattro attenderanno la risposta e nel frattempo ad uno ad uno si toglieranno la vita scatenando piaghe su piaghe sulla Terra come gli era stato suggerito in precedenti visioni. L’apocalisse bussa alla porta, insomma, e ha parecchia fretta. Il twist nello script di Shyamalan, infatti, appare subito dopo nemmeno dieci minuti di film. L’assalto alla casetta indifesa, al terzetto comunque impreparato, è da antologia: rapido, asfissiante, risoluto. E il bello è che dal momento dell’invasione domestica, dove gli invasori cercano di non fare del male agli invasi, Bussano alla porta diventa uno scivolo senza appigli ritmato da un ossessivo countdown verso un futuro catastrofico (im)possibile. Il punto è: bisogna credere ai quattro invasati cavalieri dell’Apocalisse, però tanto buoni e cari che hanno a cuore la Terra, e salvare il mondo o cercare di fuggire dal loro giogo spernacchiandoli come si faceva coi killer classici dell’horror uccidendoli e chiamando la polizia? Tertium non datur.

Anche perché dopo che ogni membro del manipolo viene ucciso, in tv cominciano ad apparire breaking news dove a un gigantesco tsunami sulla costa ovest degli Stati Uniti segue un’esplosione di una pandemia mondiale e poi aeroplani che si schiantano inspiegabilmente a terra. Shyamalan ancora una volta in maniera sibillina e magistrale pone lo spettatore di fronte al baluginare dell’insondabile. E lo fa ponendo la macchina da presa frontalmente ai visi e ai corpi dei protagonisti, stringendo in primissimi piani alla Leone sia Leonard che i due papà o la piccola Wen (Kristen Cui), giocando su uno scavalcamento di campo continuo che propone una frontalità soffocante e angosciosa. Leggermente fuori campo e vagamente fuori vista sangue e ferite, la tensione in crescendo rasenta la perfezione, mescolando zoppicanti impulsi razionali e fascinosi flash irrazionali che si riversano sullo spettatore intrappolato nella casetta del bosco. Shyamalan appare hitchcockianamente in una televendita tra una sciagura televisiva e l’altra.

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