È di un modesto 5% il calo rilevato tra dicembre e gennaio per le esportazioni di petrolio russo. Il periodo è significativo poiché lo scorso 5 dicembre è entrato in vigore l’embargo europeo sul greggio di Mosca, con effetti che per ora paiono trascurabili. Le vendite all’estero sono state pari a 3,1 milioni di barili al giorno, 150mila in meno rispetto ai quantitativi medi giornalieri del periodo gennaio-novembre. È quanto emerge dalle analisi di Energy Intelligence. Non che la morbidezza dell’embargo possa sorprendere più di tanto. Gli osservatori più attenti e obiettivi avevano segnalato sin dall’inizio alcune perplessità sull’effettiva portata delle misure. Anche il tetto al prezzo per ora morde poco. La soglia dei 60 dollari al barile non comporta particolari penalizzazioni rispetto ai valori attuali. Il brent si scambia intorno agli 80 dollari e già da tempo l'”urals” russo veniva venduto a sconto di una ventina di dollari. Alcuni analisti hanno osservato come, a queste condizioni, il Cremlino sia in grado di finanziare una “never ending war” in Ucraina.
La leva su cui fa perno l’embargo sono le procedure di assicurazione dei carichi, che nel 90% dei casi vengono siglati sul mercato londinese, e quelle di erogazioni di credito bancario per la gestione delle operazioni. Tuttavia, come avevano avvisato gli addetti ai lavori, Mosca può contare su una flotta di “navi fantasma” che trasportano il suo petrolio ma che sono registrate altrove, principalmente Dubai, e che, tramite triangolazioni con altri paesi, riescono a “ripulire” il petrolio russo. Se l’embargo ha escluso dalle operazioni colossi del trading come Trafigura, Vitol o Gunvor, il vuoto è stato riempito da operatori minori e opachi. Energy Intelligence segnala tra questi Sun Ship Management, controllata dalla russa Sovcomflot ma domiciliata a Dubai, che dispone di una flotta con decine di vecchie petroliere. Ci sono poi Sunrise, Tejarinaft, Bellatrix e Samaria, formalmente non russe ma che trasportano il petrolio di Rosneft. A comprare da produttori russi sono anche Elbrus General Trading, Petroruss e Arida.
Non è però solo questione di flotta. L’embargo coinvolge solo i paesi occidentali, gli altri non vi partecipano. India, Cina e Turchia continuano a comprare grandi quantitativi di idrocarburi russi e per di più a prezzi scontati. In dicembre l’India ha importato in media 1,4 milioni di barili al giorno di petrolio russo, 400mila in più rispetto a novembre. Stanno salendo anche gli acquisti cinesi, circa 950mila barili al giorno, il 15% in più dei periodi antecedenti l’embargo. Non solo: Pechino acquista molto greggio che formalmente proviene dalla Malaysia ma che si suppone sia in larga parte proveniente da stati sanzionati come Iran, Venezuela e, appunto, Russia.
In sostanza queste strade alternative hanno compensato pressoché totalmente i minori acquisti “ufficiali” europei. A queste condizioni, il rischio per l’occidente è quello dell’effetto boomerang. L’embargo non produce effetti significativi nel ridurre i flussi di denaro che consentono al Cremlino di finanziare la guerra, ma i paesi europei si trovano a pagare di più spesso per acquistare lo stesso petrolio russo che prima arrivava direttamente ma ora transita da altri paesi. Il petrolio è di gran lunga la prima fonte di entrate per Mosca. Nel 2019, ultimo anno di normalità prima di pandemia e guerra, il greggio incideva per il 44% sul valore totale dell’export russo per un ammontare di 190 miliardi di dollari. L’export di gas vale circa 50 miliardi di euro. Insieme i due idrocarburi coprono il 43% del budget statale russo.
Domenica 5 febbraio intanto entra in vigore anche l’embargo sui prodotti raffinati, tra cui benzina e gasolio, destinato verosimilmente a causare ulteriori rincari dei prezzi. Gli Stati Ue hanno concordato un tetto di 100 dollari al barile per i prodotti petroliferi che vengono commercializzati a prezzo maggiorato, compreso il diesel, mentre per i prodotti venduti a prezzo scontato, come l’olio combustibile e alcuni tipi di nafta, il tetto è di 45 dollari. Sotto queste soglie, come previsto dal sesto pacchetto di sanzioni, la prestazione di servizi per il trasporto resta consentita. “Con il G7 stiamo ponendo dei limiti ai prezzi di questi prodotti, riducendo le entrate della Russia e garantendo al contempo la stabilità dei mercati energetici globali”, ha commentato Ursula von der Leyen in un tweet. Resta da vedere se funzionerà.