“Ma a un architetto di Genova conviene venire a lavorare nelle Marche?”. Così il neo commissario alla ricostruzione delle aree terremotate del centro Italia, il senatore di Fratelli d’Italia Guido Castelli meno di una settimana fa. Beh, nelle Marche la vita di Ornela Casassa, l’ingegnera edile che a Genova ha rifiutato uno stipendio di 750 euro spiegando in un video che ha fatto il boom di visualizzazioni in rete perché è decisivo resistere a queste paghe da fame, sarebbe cambiata da cima a fondo. E anche il suo conto in banca, presumiamo. Se solo Ornela fosse stata iscritta a un nuovo partito, ricco di suo: il partito dei tecnici. Nel centro Italia è in atto infatti la più grande opera di ricostruzione post sisma: Marche, Lazio, Umbria e Abruzzo devono ricostruire e riparare le case distrutte o lesionate dal sisma dell’aprile 2016.

Geometri, ingegneri, architetti, geologi fattureranno, a consuntivo, quasi cinque miliardi di euro in parcelle professionali. Quarantamila mila cantieri tra pubblico e privato e una media per ciascun cantiere intorno al venti per cento. Ventottomila progetti già presentati, ma ne mancano ventiduemila. Sapete perché? Non bastano i tecnici, non ce la fanno a digerire la mole di lavoro e stanno cedendo le braccia sotto la coltre pesante delle fatture già emesse e riscosse. E allora?

Il neo commissario non lo sa, ma il suo predecessore, Giovanni Legnini, intuendo la defaillance, il buco nero delle energie stanche e ormai vuote, avanzò una proposta, una sorta di chiamata alle armi a chi nel resto del Paese avesse avuto voglia di mettersi alla prova tra i cantieri del dopo terremoto. “Candidatevi, chi vuol venire a lavorare nelle aree terremotate sarà il benvenuto!”.

In ventunomila hanno accolto l’offerta e hanno detto sì. E allora? E allora la scelta fiduciaria dei privati, titolari dei contributi, e delle amministrazioni locali per le opere pubbliche, è caduta però dentro il reticolo delle conoscenze o dei rimandi territoriali o delle filiere professionali regionali. I tecnici locali hanno fatto cartello e – insomma – si sono pappati tutta la torta.

Diciassettemila tecnici, per lo più giovani, non hanno ricevuto nessun incarico. Dei quattromila rimasti per i virtuosismi della conoscenza diretta in 1100 hanno beccato poco e niente lavorando a una sola pratica (sic!). In 2700 si sono divisi invece 23mila incarichi (media 8,6 incarichi pro capite). E, udite, la meraviglia di cento – tra ingegneri e architetti – che hanno ricevuto la bellezza di 5.054 incarichi, con una media di 50,3 incarichi a testa.

Rifacciamo i conti in tasca a questi Paperoni del dopo terremoto: ogni incarico vale il venti per cento del costo del progetto (e ogni progetto non vale mai meno di 300mila euro). Finora – quando la ricostruzione, secondo i dati pubblicati dal commissario Castelli è ferma al 12 per cento, poco più di niente – in tasca ai tecnici sono già andati 520 milioni di euro. Cinquecentoventi milioni! E questa cifra, che già sembra enorme, è solo un assaggio, la decima parte di ciò che a consuntivo sarà. Cinque miliardi di euro – e magari sempre agli stessi – solo per progettare e dirigere i lavori.

L’Italia è un Paese per giovani. What else?

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