Una mozione approvata dal comitato direttivo centrale dell’Associazione nazionale magistrati esprime “profondo allarme” per la proposta di legge all’esame della commissione affari costituzionali della Camera sulla separazione delle carriere tra giudice e pubblico ministero. “Una rigida separazione delle carriere porterà a un pubblico ministero sempre più lontano dalla cultura della giurisdizione, per divenire un avvocato dell’accusa pericolosamente piegato ai desiderata del potere politico”, osserva il sindacato dei magistrati.
“Il pubblico ministero disegnato dalla riforma – continua l’Anm – rischia di allontanarsi dal ruolo di primo tutore delle garanzie individuali e dei diritti costituzionali”. A giudizio del sindacato delle toghe “è la realtà dei fatti che smentisce l’assunto secondo il quale il giudice sia ‘culturalmente adesivo’ alla prospettiva del pm: nel 48% dei giudizi penali la sentenza è di assoluzione, nel 45% di condanna, il resto ha esito misto. Chi insiste a sostenere che la separazione è soluzione ai problemi della giustizia dimentica, evidentemente, che dal 2006 la media dei trasferimenti da una funzione all’altra è di 50 magistrati all’anno, e solo 21 nell’anno appena terminato”.
L’analisi dell’Anm prosegue: “La nostra Costituzione ha voluto realizzare una magistratura pienamente autonoma e indipendente da ogni altro potere – ricorda la mozione approvata- La prima garanzia di ciò è la forte cultura comune che unisce, e deve sempre unire, i giudici e pubblici ministeri, costruendo in ogni magistrato una precisa identità a tutela dei diritti fondamentali dei cittadini contro ogni arbitrio, ogni violenza, ogni forma di criminalità. Una visione comune fortemente sostenuta anche dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, che ha un’impronta fortemente garantista. Non a caso, il progetto di legge interviene anche sull’obbligatorietà dell’azione penale, con il rischio di ledere il principio di uguaglianza dei cittadini nelle scelte di esercizio dell’azione penale”.
L’associazione sottolinea poi che “l’appartenenza dei magistrati a un unico corpo professionale rappresenti una conquista da preservare, coltivare e valorizzare. L’autonomia e l’indipendenza potranno dirsi effettive solo se i pubblici ministeri non dovranno preoccuparsi degli esiti favorevoli dei processi, prima che dell’esito di giustizia. L’autonomia e l’indipendenza della magistratura sono garanzie poste a presidio delle libertà dei cittadini e, al contempo, limiti a possibili intromissioni delle contingenti maggioranze di governo”. Critiche pure sull’ipotesi di due Csm separati che “renderebbe abnorme il potere dei pubblici ministeri: ora sono 5 su 20 membri, con la riforma diventerebbero la totalità dei membri togati del consiglio dedicato. Una concentrazione di potere che sfocerebbe, prima o poi, nell’individuazione di un referente nel potere esecutivo, e nell’inevitabile compressione nella tutela dei diritti dei cittadini, siano essi persone offese o imputati. Un esito non desiderabile da chiunque abbia a cuore i diritti costituzionali”.