Ogni quattro anni, con le estati olimpiche a riempire giornali ed esultanze, spunta qualche atleta che dal semi anonimato passa alla gloria. Questione di minuti: di prestazioni più o meno perfette che valgono le medaglie ai Giochi e l’ingresso nella ristretta categoria degli sportivi che ce l’hanno fatta. Di solito succede nelle discipline minori, definite così a causa dell’insopportabile vizio di pesare l’importanza di uno sport in base al seguito di pubblico. Ma tant’è. Non è questo il punto. Fatto sta che da essere nessuno, diventi un Dio. Per qualche giorno. E approfitti della ribalta mediatica. E ripensi a tutti i sacrifici fatti. E partono i ringraziamenti. Fateci caso: il primo grazie di solito è per “il mio maestro, quello che ha creduto in me e mi ha spinto a continuare nonostante le difficoltà”. Ecco: i primi maestri, quelli che insegnano sport, che crescono uomini e donne per farli diventare campioni. Vogliamo raccontarli così: capire il loro modo di intendere la competizione, scoprire i loro metodi, conoscere i loro aneddoti, sapere da chi hanno imparato. Ci saranno maestri noti e meno noti, espressione di discipline con grande o poco seguito. Unico comune denominatore: loro sono lo sport che insegnano e che hanno contribuito a migliorare. (Pi.Gi.Ci.)

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“L’anima del cricket è il rispetto. Nel preambolo alle leggi si dice che non si può far nulla che manchi di rispetto a questo sport. È questo lo spirito del gioco”. Kelum Perera è il segretario generale della Federazione Cricket Italiana, dopo aver ricoperto altri ruoli federali, compreso quello di coach della Nazionale maggiore. Classe 1984, ex giocatore azzurro, è tecnico di terzo livello, formatore di cricket e formatore Cio. “Sono nato a Firenze da genitori dello Sri Lanka emigrati in Italia. Mio papà Kumar lavorava nella banca di stato, dopo un colpo di stato ha deciso di non sottostare alla dittatura e ha preferito venire in Italia. In Sri Lanka era un giocatore di cricket e una volta qui si è rimesso a giocare. Per questo motivo ci siamo trasferiti nei pressi di Cesena dove aveva trovato squadra”.

Lei da piccolo che sport praticava?
“Come tutti i miei amici giocavo a calcio e mi piaceva molto, papà però mi ha obbligato a giocare anche a cricket. Così al sabato facevo una partita di pallone e la domenica quella di cricket. Poi dopo un infortunio ho smesso con il calcio e ho fatto solo cricket”.

Contento di questa imposizione?
“A posteriori sono contentissimo. Con il cricket ho girato il mondo, conosciuto persone, fatto esperienze di ogni tipo e ora sto coprendo ruoli di grande responsabilità”.

Le sono arrivate altre imposizioni familiari?
“Al contrario. I miei mi hanno lasciato libero anche nella religione. Loro sono buddisti, ma io a scuola facevo religione con i miei compagni di classe. Sono diventato buddista più tardi, per mia scelta. Mentre mia figlia è battezzata e ha fatto da poco la prima comunione”.

Chi è stato il suo primo maestro?
“Mi allenava papà, prima a Cesena poi a Bologna. A 14 anni e mezzo esordisco in prima squadra, a 15 partecipo ad un tour in Inghilterra con la Nazionale, il debutto ufficiale azzurro è nel 2002”.

La sua prima lezione?
“Mi ha mandato in Inghilterra per una vacanza studio a 14 anni. Senza cellulare né connessione internet. Pioveva tutto il giorno. Chiamavo a casa chiedendo di rientrare. Un giorno tutto questo ti servirà, mi ripeteva papà”.

La lezione più importante?
“Il rispetto delle regole e delle persone. E di perseverare nelle mie volontà e nei miei sogni”.

Le è ancora accanto nel suo percorso professionale?
“Da quando ho iniziato la mia carriera, lui si è defilato”.

Sarà molto orgoglioso.
“Ha sempre auspicato una vita migliore di quella che ha avuto lui”.

Come è cambiato il cricket da quando ha ricevuto le prime nozioni di Kumar?
“Il cricket è cambiato molto. Il suo insegnamento era: gioca la palla per quella che è. Io di ruolo ero un battitore. E il senso era di non pensare a cosa fare prima, ma di guardare la palla e poi decidere come colpire”.

Oggi non funziona così?
“Oggi un giocatore esperto deve anticipare la decisione. Però ai giovani io dico sempre che prima di ogni altra cosa devono farsi le basi solide”.

Come sono gli allenatori in Italia oggi?
“Tendono a saltare i passaggi. Mentre le basi sono vitali per la costruzione di qualcosa. Spesso cercano di emulare quello che vedono su You Tube. Nel calcio prima di imparare un tiro ad effetto devi saper calciare di collo pieno. Dobbiamo ancora crescere”.

Qualche consiglio?
“Non si devono rincorrere i risultati. Lo sviluppo dell’atleta è graduale e soprattutto all’inizio bisogna essere molto ripetitivi negli allenamenti. Ogni giorno. In tutti gli sport funziona così. Allenatori di nascita italiana ce ne sono pochi, questo è uno sport che è stato trapiantato in Italia”.

Che periodo sta vivendo la Nazionale?
“Mai qualificata ad un Mondiale. Quest’anno ci sono le qualificazioni europee per andare ai mondiali. Sarebbe un sogno. Delle sei gare in programma bisognerebbe vincerne la metà e poi sperare”.

Quali sono le città italiane del cricket?
“Un tempo Bologna, ora soprattutto le lombarde. A Brescia vivono 30mila pakistani”.

Vicinanze con altri sport?
“Il Baseball è figlio del cricket. La versione americana del gioco anglosassone”.

Le piace?
“Non mi appassiona, forse perché sono troppo innamorato del cricket”.

Il calcio le piace ancora?
“Sono un grande tifoso interista, con mia figlia vado molto spesso allo stadio”.

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