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Ucraina, agguato a Igor Mangushev: il mercenario russo amico del capo di Wagner colpito con un proiettile a bruciapelo alla testa

Il mercenario, divenuto celebre per aver mostrato un anno fa "il teschio di uno dei combattenti di Azovstal", è stato vittima di un attentato mentre si trovava nell'Ucraina orientale. E' stato trasportato in ospedale in condizioni gravi, ma stabili

Un agguato improvviso, un proiettile sparato in testa a bruciapelo. È la dinamica dell’aggressione che ha ridotto in fin di vita Igor Mangushev, mercenario amico del fondatore del gruppo Wagner Yevgeny Prigozhin, diventato bersaglio probabilmente delle forze speciali ucraine mentre si trovava nella parte orientale del Paese. Mangushev, capitano di un battaglione russo soprannominato Bereg, era finito nel mirino delle forze ucraine dopo essersi fatto pubblicità pubblicando lo scorso anno un video in cui mostrava il teschio di “un combattente di Azovstal”. Un agguato, quello nei suoi confronti, letto da molti come un avvertimento rivolto soprattutto al fondatore del gruppo di mercenari che periodicamente torna a minacciare le truppe fedeli a Volodymyr Zelensky.

Dopo essere stato colpito dal proiettile, Mangushev è stato trasportato in ospedale nella città di Stakhanov “in condizioni gravi ma stazionarie”. Il suo amico e collega, Boris Rozhkin, ha pubblicato sul suo canale Telegram le foto di Mangushev disteso su un letto d’ospedale con la testa fasciata e coperta di sangue e ha raccontato che il mercenario è stato ferito a un posto di blocco a Stakhanov, ma non ha fornito ulteriori dettagli. Al momento, le autorità russe della zona non hanno confermato l’incidente.

Mangushev divenne uno dei volti più noti dell’invasione russa, affermando addirittura che lui e i suoi alleati avevano inventato la lettera ‘Z’ come simbolo per rappresentare il sostegno all’intervento militare di Mosca. Tuttavia, i veicoli militari e i carri armati russi con i contrassegni ‘Z’ e ‘V’ sono stati avvistati nelle aree di confine ben prima che Mangushev si rivolgesse ai social media per rivendicare la paternità del simbolo. L’attentato nei suoi confronti non è però il primo che colpisce personaggi considerati vicini all’ala dell’ultranazionalismo russo: nell’agosto scorso, una bomba aveva fatto saltare in aria l’auto con a bordo Darya Dugina, figlia del filosofo Alexander Dugin, uccisa presumibilmente per mano di un sabotatore ucraino infiltratosi in Russia.