“Il tema universale della vita e della morte fa paura, e lo so bene. Non a noi, perché abbiamo visto che ci sono cose peggiori della morte. Ma grazie a mia figlia è nata una legge. L’Eluana di turno, oggi, ha la possibilità di non farsi intrappolare né nei meccanismi clinici, né nei meccanismi giuridici. Una svolta”. A 14 anni dalla morte della figlia Beppino Englaro in una lunga intervista a La Repubblica ripercorre tappa dopo la tappa la lunghissima battaglia legale per rispettare quella che era stata in vita la volontà della figlia che a 21 anni ebbe un incidente stradale che la ridusse in stato vegetale e senza possibilità di ripresa.

“Per arrivare alla Corte di Cassazione noi abbiamo speso 15 anni e 9 mesi: 5.750 giorni” ricorda Englaro che sottolinea come la famiglia non abbia mai avuto scelta se non combattere. “Perché non ci hanno dato scampo. Noi rivendicavamo una libertà, un diritto fondamentale. Ma eravamo come due randagi che abbaiavano alla luna, e abbiamo preso atto che la medicina non serve la persona, ma è al servizio della non morte. Davanti a uno stato vegetativo permanente, dice che non è né una morte celebrale né uno stadio terminale; per i medici quella è vita a tutti gli effetti”. Uno stato che non è più vita ma neanche ancora morte: “Non so come definirla, ma so che non si può creare una condizione di vita estranea al modo di concepire l’esistenza, e poi condannare uno a vivere così, comunque”.

Ma non per questo la famiglia ha pensato a sotterfugi: “No, perché abbiamo sempre detto che il tutto doveva finire nella legalità e dentro la società, senza nascondigli e furbizie”. La libertà di Eluana e il suo diritto al rispetto delle volontà espresse in più occasione e quando un amico era stato coinvolto in un incidente dovevano essere salvaguardate: “Torniamo sempre al grande amore fra di noi. È quel che ci ha portati quasi a impazzire dal dolore, nel vedere una creatura ridotta in quelle condizioni e non riuscire a venirne a capo, pur agendo nella legalità e dentro la libertà“.

Englaro riflettendo su quelle che erano state le posizioni della Chiesa e dei cattolici che chiedevano di “fermare la mano assassina” dice: Questa è la posizione dei cattolici. Loro hanno il Vangelo, noi abbiamo la Costituzione, rivendichiamo libertà e diritti fondamentali. Quindi massimo rispetto per i loro valori. Ma mi aspettavo lo stesso rispetto per i valori di una Repubblica laica”. Un percorso finale con momenti “Altamente drammatici. Ci hanno costretti a uscire dalla Lombardia perché il presidente Formigoni, anche se non aveva il potere di ostacolare una sentenza del massimo organo giurisdizionale, lo ha fatto”. Senza dimenticare il tentativo di varare un disegno di legge che fermasse tutto. “Resistere 6.233 giorni significa subire una violenza inaudita, contro due genitori che volevano solo rispettare la loro creatura” Beppino Englaro si dice sereno: “Senz’altro. Non sarei stato in pace se non avessi portato a termine il rispetto delle convinzioni di mia figlia. L’unico modo per me di trovare pace era quello di rimanere fedele alla sua testimonianza di vita, alle sue idee: alla scelta di Eluana”.

All’intervistatore, Ezio Mauro, Beppino Englaro legge una lettera di Eluana, scritta a noi nel Natale ‘91, un mese prima dell’incidente e trovata anni dopo: “Ciao grandi. Vi volevo ringraziare per tutto quello che mi avete donato in questi lunghi ventun anni trascorsi insieme. Sai, tu papi ogni tanto dici che non siamo una famiglia perfetta ed hai ragione perché siamo super. Spero di non deludervi mai perché ne soffrirei più io di voi. Voi due, oltre ad essere dei perfetti genitori, siete anche due buone persone, perché mi avete insegnato la bontà e la generosità, ma soprattutto dei grandi valori quali il rispetto verso se stessi e gli altri, il piacere di avere una famiglia salda, calda, affettuosa, sulla quale si può sempre contare. Spero un giorno di diventare brava come voi. Con tanto affetto Eluana”.

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