“Il caso Cospito non può delegittimare il 41 bis”, tuonava ieri Giancarlo Caselli su Il Fatto Quotidiano. Chi delegittima il 41 bis, oltre a Cedu e Corte Costituzionale, sono semmai i magistrati che lo infliggono per motivi diversi ed estranei alle stragi di mafia dei primi anni ’90, che costrinsero il Paese in evidente e drammatica emergenza a determinarsi ad adottarlo. Il 41 bis stretto è di fatto una condanna a morte tra le mura di un carcere. Morte come annichilimento di ogni possibile umana espressione. Di sensazioni, di sentimenti, di vita. Morte cerebrale. Era giusto? Ritengo di sì. Ma era figlio di un’emergenza sanguinosa e spietata che non si sarebbe fermata di fronte a nulla.
Emergenza. Questo era. Il fallimento di una seria politica antimafia ne ha fatto un unico e solo strumento di lotta per i magistrati che, pochi, rischiano tutto ciò che hanno, affetti compresi, per combattere la criminalità organizzata. Hanno solo questo e non lo Stato, al loro fianco. Loro nemici sono quei colleghi che ne fanno uso a sproposito.
Alfredo Cospito ha compiuto atti criminali per i quali è stato condannato, ma non è un boss mafioso e non ha ucciso nessuno. Pochi sono i giornalisti che lo ricordano. Per Cospito il 41 bis c’entra come i cavoli a merenda. Sono facili allora le manifestazioni di virilità governative e le speculazioni polemiche sul regime tutto del 41 bis.
Polvere su un dead man walking. Tutte le polemiche odierne sono questo.
Ciò che suona ancor più cinicamente beffardo è il fatto che, negli stessi anni in cui veniva partorito il regime del 41 bis, veniva abolita, anche per il codice penale militare di guerra, la pena di morte.
Ilaria Cucchi è andata a trovare Alfredo Cospito per suo fratello Stefano. Si è interessata a lui, come senatrice, da tempo. Quando ancora non era al centro delle polemiche mediatiche, ha deciso di andarlo a trovare. Venerdì eravamo d’accordo che, prima di uscire dal carcere, ci saremmo sentiti. Sapevo che sarebbe stata un’esperienza durissima per lei. Il digiuno di Cospito era, in fin dei conti, quello di Stefano, anche se unito – quest’ultimo – ad un feroce pestaggio. Quella di Cospito era, in fin dei conti, una morte annunciata per la quale Ilaria avrebbe dovuto fare qualcosa.
“Fabio – mi ha detto all’uscita prima di parlare ai giornalisti – lui non vuole essere aiutato. Non vuole più passerelle di politici che poi stravolgono quel che lui ha detto. Ha detto che mi ha permesso di incontrarlo solo per la mia storia personale. Che lui andrà però fino in fondo perché il 41 bis è disumano. È già morte. Ha detto che non incontrerà più nessuno e di interessarmi ai 95enni che stanno morendo di quel regime”.
Ilaria ne ha sofferto terribilmente. È stata poi male.
Alfredo Cospito non è un eroe: è un criminale. Ma è pur sempre un uomo. Ilaria non ha mai fatto di suo fratello un eroe, ma si è ribellata di fronte a ciò che gli è stato fatto. Non ci sono analogie in questi due drammi.
Non possiamo permettere che Alfredo Cospito diventi un martire, perché ne va della tenuta etica e legale di questo Paese.
A coloro che, di fronte a queste mie parole, potrebbero evocare nostre ridicole e false simpatie per i mafiosi, richiamo alla memoria il fatto che io e lei abbiamo vinto due Premi Borsellino ed uno Caponnetto. Si vadano a guardare le motivazioni. Vadano a vedere chi erano i componenti delle commissioni e, soprattutto, le autorità istituzionali che via via ce li hanno consegnati.
Il 41 bis serve quando deve servire. Ma se serve dopo 30 anni vuol dire che lo Stato ha fallito, costringendo i magistrati a continuare a combattere le mafie con strumenti inadeguati. Nessuna lotta seria alla corruzione e alla concussione, reati scopo e allo stesso tempo fine delle associazioni mafiose. Solo i 5 stelle ci hanno provato seriamente. Ma sono stati tacciati di giustizialismo.
Non combattere seriamente la corruzione e la concussione costringe poi lo Stato a ricorrere a mezzi di tortura come può essere il regime del 41 bis. Con buona pace del bla bla bla.