I 75 Paesi che hanno accesso ai prestiti dell’Agenzia Internazionale per lo Sviluppo della Banca mondiale oggi spendono oltre un decimo dei loro proventi da esportazioni per sostenere il debito estero, la quota più alta dal 2000. Pechino è da tempo il partner preferito perché offre minore burocrazia, ma stanno emergendo su più fronti impreviste controindicazioni in una partita che è tanto economica quanto politica
Una crisi globale del debito potrebbe essere alle porte. Primi indiziati a finire nell’occhio del ciclone sono i Paesi in via di sviluppo, che nell’ultimo decennio hanno ampliato con decisione la portata dei prestiti contratti: il 25% dei mercati emergenti è già insolvente o vicino a questa condizione e tra i Paesi a basso reddito questa percentuale arriva fino al 60 per cento. Ma chi sono i creditori? A dominare non è più il Club di Parigi bensì la Cina, preferita per velocità e minore burocrazia, nonostante secondo gli osservatori internazionali emergano su più fronti impreviste controindicazioni in una partita che è tanto economica quanto politica.
Trecentomila miliardi di dollari – Il debito record raggiunto da tutto il pianeta ammonta a 300mila miliardi di dollari, ovvero il 349% del prodotto interno lordo globale, che si traduce in un debito medio per ogni persona nel mondo di 37.500 dollari, a fronte di un Pil pro capite di soli 12mila dollari. Il rapporto debito/Pil ha raggiunto le tre cifre, arrivando al 102%, in aumento di quasi 30 punti percentuale rispetto al 2007, quando era al 76 per cento. Sono i preoccupanti dati del rapporto Look Forward – A World in Disruption di S&P Global, che mette in guardia da una crisi globale del debito, oggi acuita dai recenti aumenti dei tassi di interesse da parte di Fed e Bce. Di fronte a questo scenario S&P indica la necessità di un “Great Reset” della mentalità dei decisori politici e l’accettazione da parte delle popolazioni delle azioni necessarie: maggiore cautela nei prestiti, riduzione delle spese eccessive, ristrutturazione delle imprese a basso rendimento e svalutazione del debito meno produttivo.
Debiti raddoppiati e triplicati – A soffrire di più la congiuntura sono i Paesi in via di sviluppo: il rapporto International Debt Report 2022 della Banca Mondiale mostra che i 75 Paesi che hanno accesso ai prestiti dell’Agenzia Internazionale per lo Sviluppo (International Development Association – IDA) della Banca mondiale oggi spendono oltre un decimo dei loro proventi da esportazioni per sostenere il debito estero, la quota più alta dal 2000, cioè poco dopo la nascita del programma Heavily Indebted Poor Countries (HIPC), promosso congiuntamente nel 1996 dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale. Si evidenziano i crescenti rischi legati al debito per tutte le economie in via di sviluppo, a basso e medio reddito: alla fine del 2021 il debito estero di queste economie ammontava a 9mila miliardi di dollari, più del doppio rispetto a dieci anni fa, mentre nello stesso periodo il debito estero dei Paesi IDA è quasi triplicato a mille miliardi di dollari.
Fmi alla finestra – I vertici delle istituzioni internazionali guardano con attenzioni questi sviluppi. “La crisi del debito che affligge i Paesi in via di sviluppo si è intensificata”, ha detto David Malpass, presidente della Banca Mondiale. “È necessario un approccio globale per ridurre il debito, aumentare la trasparenza e facilitare una ristrutturazione più rapida, in modo che i Paesi possano concentrarsi sulla spesa che sostiene la crescita e riduce la povertà. Senza ciò, molti Paesi e i loro governi affronteranno una crisi fiscale e l’instabilità politica, con milioni di persone che finiranno in povertà”. Anche Kristalina Georgieva, direttrice operativa del Fondo Monetario Internazionale, si è di recente mostrata preoccupata: “Sappiamo che l’inasprimento delle condizioni finanziarie e l’apprezzamento del dollaro sono ancora agli inizi del loro impatto sui mercati emergenti. Il 25% di questi è già o è vicino all’insolvibilità. Questa cifra è molto inferiore rispetto ai Paesi a basso reddito, i quali sono in sofferenza per oltre il 60 per cento. Ma è un numero molto significativo e preoccupante. Quindi dobbiamo essere pronti ad aiutare”.
Nuovi prestatori – Nell’ultimo decennio la composizione del debito degli emergenti e dei Paesi IDA è cambiata in modo significativo, con un notevole incremento della quota riservata ai creditori privati. Alla fine del 2021, le economie a basso e medio reddito hanno visto aumentare di 15 punti percentuali rispetto al 2010 la quota del proprio debito in mani private, arrivata ora al 61 per cento. Nello stesso periodo i Paesi IDA hanno registrato un aumento di 16 punti percentuali della quota di debito estero a creditori privati, ora al 21 per cento. Va inoltre sottolineato come sia cambiato il debito anche nei confronti dei creditori pubblici. I creditori ricompresi nel Club di Parigi (che vede come membri permanenti 22 tra i Paesi più sviluppati del mondo, in larga parte occidentali) sono al 32% (per un totale di 64,2 miliardi di dollari) nel 2021, in calo rispetto al 58% (48,9 miliardi di dollari) del 2010. Viceversa, è aumentato in maniera consistente l’importo dovuto ai creditori non appartenenti al Club di Parigi (tra gli altri Cina, India, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti), la cui quota nel 2021 è arrivata al 68% (per 138,3 miliardi di dollari) dal 42% (35,3 miliardi di dollari) del 2010. In particolare, è la Cina a fare la parte del leone: alla fine del 2021 il Dragone è diventato il maggiore prestatore ai Paesi IDA, con il 49% del debito bilaterale rispetto al 18% del 2010.
La Cina è vicina – Nell’ultimo decennio la Cina non si è affermata solo come prestatore di denaro, ma anche come partner nello sviluppo, si pensi ai progetti infrastrutturali finanziati nell’ambito della Belt and Road Initiative ma non solo, progetti che tuttavia, secondo il Wall Street Journal, iniziano a mostrare in più parti problemi ingegneristici. Dall’Ecuador al Pakistan, passando per l’Angola e per l’Uganda, si moltiplicano i costi inizialmente previsti per far fronte a necessari interventi di riparazione e rifacimento, probabilmente il contraltare della velocità di azione di Pechino. Samantha Custer, ricercatrice di AidData, laboratorio della William & Mary University, in un sondaggio che ha coinvolto 7.000 leader del settore pubblico, privato e della società civile in oltre 140 Paesi, ha dichiarato al network americano NPR che “i leader apprezzano il fatto che la Cina sia molto veloce nel fornire finanziamenti e assistenza. Per i leader neoeletti che devono mantenere rapidamente le promesse, la Cina è un partner preferito [rispetto a quelli occidentali] perché non c’è molta burocrazia”.
Prestiti sommersi – La mancanza di burocrazia favorisce la scarsa trasparenza dei contratti. “Sappiamo che la Cina è molto opaca riguardo ai termini della sua assistenza”, ha aggiunto Custer. “Includeranno nei contratti clausole esplicite di non divulgazione, che vietano di dire quanto è stato preso in prestito e in quali termini”. Ed è proprio “la scarsa trasparenza del debito la ragione per cui così tanti Paesi camminano come sonnambuli verso una crisi del debito”, ha detto Indermit Gill, capo economista della Banca Mondiale. Negli ultimi cinque anni il database International Debt Statistics ha identificato e aggiunto 631 miliardi di dollari di prestiti precedentemente non dichiarati e altri 44 miliardi sono stati identificati nel 2021: queste somme emerse rappresentano il 17% del totale del debito.
Zambia conteso – Esemplificativa in questo contesto è la situazione dello Zambia, che ha di recente ricevuto la visita del segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen, la quale ha affermato come sia “di fondamentale importanza” affrontare la crisi del debito del Paese africano. La visita di Yellen nello Zambia ha puntato, tra le altre cose, a promuovere gli investimenti americani nel Paese, la cui capitale Lusaka è dominata dai finanziamenti cinesi. Lo Zambia è diventata la prima nazione sovrana africana nell’era della pandemia di coronavirus a essere risultata inadempiente, non essendo riuscita a effettuare un pagamento obbligazionario pari a 42,5 milioni di dollari nel novembre 2020. La rinegoziazione dei prestiti con Pechino sarà un banco di prova a cui molti Paesi emergenti guarderanno con interesse.