Nel volume edito da Aliberti, il professionista reggiano ci accompagna in una rapida, chiara e perentoria disamina su come il concetto di “desiderio” si sia trasformato in tempi di iperconsumismo digitale, teorie gender e populismi. “Parlare di desideri in una società come la nostra, in cui è in atto una manipolazione massiccia della funzione desiderante, è controcorrente in quanto, come affermavano Gilles Deleuze e Félix Guattari, il circuito del denaro vuole che l’uomo non sia altro che “una macchina desiderante” che acquista tutto ciò che è proposto”
“Il desiderio è per sua natura simile al palloncino che vuole andare verso le stelle. Ma se il desiderio si allontana troppo dalla realtà si determina una sofferenza, come capita al palloncino che vola troppo in alto e scoppia”. Torniamo all’intelligenza del desiderio, insomma, e di corsa. Questo è quello che ci suggerisce Luciano Casolari nel saggio edito da Aliberti – Intelligenza del desiderio – che ha un richiamo in sottotitolo che vale l’intera lettura: “L’arte di eliminare la me**a dall’inconscio e ripescare i bisogni profondi”. Casolari ci accompagna in una rapida, chiara e perentoria disamina su come il concetto di “desiderio” si sia trasformato in tempi di iperconsumismo digitale, teorie gender e populismi. Lo psichiatra reggiano ci porta proprio nei meandri di quello che definisce “inquinamento mentale” derivante dalla manipolazione del desiderio: “Parlare di desideri in una società come la nostra, in cui è in atto una manipolazione massiccia della funzione desiderante, è controcorrente in quanto, come affermavano Gilles Deleuze e Félix Guattari, il circuito del denaro vuole che l’uomo non sia altro che “una macchina desiderante” che acquista tutto ciò che è proposto”. Casolari, appunto, non risparmia critiche ad alcun aspetto desiderante del nostro quotidiano contemporaneo. A partire dalla “sofferenza” provata dall’individuo conseguente alle teorie Gender: “Con la sua visione estrema di un popolo di eterni adolescenti, è intimamente connessa al messaggio consumista secondo il quale l’essere vivente, indefinito fra maschio o femmina, non si pone l’obiettivo di coltivare un suo desiderio unico e personale, ma nasce e vive per soddisfare voglie momentanee”.
Infine tra i numerosi stimoli suscitati dal volume c’è anche una parentesi tranchant sul cosiddetto Big Quit, ovvero la tendenza di dare le dimissioni da lavori importanti per fuggire in luoghi dove non lavorare più mantenendosi con risparmi o con una vita minimale, altro esempio di taroccamento del desiderio: “In questo momento storico, complice presumibilmente la pandemia, il lavoro appare come un giogo cui ci si assoggetta solo se non ci sono alternative. Il sogno individuale non pare più quello di svolgere un mestiere “appagante”, ma piuttosto quello di esprimere la propria creatività senza vincoli lavorativi e prescindendo dalle valutazioni economiche. Chiaramente, solo chi ha una certa sicurezza economica può baloccarsi con quest’atteggiamento un poco spocchioso verso il lavoro”. Insomma, come si può riuscire a controbattere dalle bordate volontarie del sistema capitalistico, in forma persuasiva culturale e pubblicitaria a non diventare definitivamente “adolescenti a vita”? Da un lato c’è un vero e proprio gesto del coprirsi occhi e tapparsi le orecchie di fronte alla “pubblicità” subita involontariamente sugli smartphone, sul pc, in radio, in tv o anche solo in stazione quando si prende il treno; e ai genitori un consiglio preciso: “Non è utile soddisfare le voglie effimere dei figli ma educarli a ricercare un desiderio per cui valga la pena impegnarsi a lungo termine. Solo in questo modo si potrà avvertire un senso di soddisfazione interiore”.