La Russia è il secondo produttore di gas naturale al mondo. Possiede le riserve più grandi del pianeta, ma il gas non è disponibile per i residenti di migliaia di città e villaggi russi. E mancano le infrastrutture per portare gas, acqua e corrente in centinaia di migliaia di casa
La propaganda di Stato in Russia ironizza sui paesi occidentali che “congelano” senza il gas di Mosca. Il canale televisivo Russia 24 racconta come gli europei stiano cercando di “scaldarsi nei modi più sofisticati”, mentre 5TV riferisce che “i meteorologi già provano sincera compassione per i residenti dell’Unione Europea“, perché “dovranno tornare ai vecchi legna, carbone e stufa”. Ma mentre la propaganda sbeffeggia “l’Europa al gelo”, intere regioni della Russia rimangono ancora oggi scollegate dalla rete elettrica e del gas, e miliardi di rubli vengono spesi per l’acquisto di legna per il riscaldamento di case, scuole e ospedali.
Non è raro che i residenti delle regioni russe si trovino senza riscaldamento in inverno, principalmente a causa di guasti che si verificano regolarmente. A novembre, decine di migliaia di residenti in Estremo Oriente, Siberia e Urali sono rimasti senza riscaldamento e acqua calda. A dicembre arrivavano segnalazioni di emergenza da Kuzbass, Barnaul, Čita, Brjansk, Kursk e altre città e villaggi della Russia. Il riscaldamento veniva spento più volte al mese: case private, asili e scuole sono rimaste senza riscaldamento e senza acqua calda o fredda per diversi giorni. A gennaio, le interruzioni sono continuate. In Chanty-Mansi-Jugra, a seguito di un guasto dei servizi comunali, 12 palazzi (più di 3mila persone) e un ospedale sono rimasti a meno 40 gradi, tagliati fuori dai sistemi di riscaldamento della città. Ma sono proprio gli impianti centralizzati a gas o carbone quelli che forniscono calore nella stragrande maggioranza degli edifici in tutta la Russia.
Le famiglie al freddo – Allo stesso tempo, una famiglia russa su dieci si lamenta perché la casa non è abbastanza calda. I cittadini continuano a presentare denunce per le ripetute interruzioni, spesso senza successo. Di tanto in tanto organizzano piccole manifestazioni, come hanno fatto gli abitanti di Rostov sul Don, che a novembre sono usciti in cortile con lo slogan “Siamo congelati”. Nella capitale del Daghestan, Makhachkala, dove si verificano regolarmente interruzioni di corrente, le persone sono più propense a scendere in piazza. È successo in estate e a gennaio, quando più di 80mila residenti del Daghestan sono rimasti nuovamente senza elettricità e in entrambi i casi, le autorità locali hanno dato la colpa al meteo. Che sia il tempo o no, quando gli studenti di un’università nella regione di Tomsk si sono lamentati del fatto che la temperatura nelle aule non superava i 13 gradi, un deputato locale ha ricordato: “E questo non è nemmeno l’università di uno dei Paesi dell’Europa occidentale, gelati senza forniture di gas russe!”.
Le regioni senza riscaldamento – In ogni caso, il problema non è tanto che la vita quotidiana della superpotenza energetica venga regolarmente interrotta da blackout, ma che alcune delle sue regioni non abbiano proprio riscaldamento. Per Mosca sarebbe lo stesso in Europa. A ottobre Putin aveva dichiarato che nel Vecchio Continente “la popolazione, come nel Medioevo, ha iniziato a fare scorta di legna da ardere per l’inverno”, biasimando l’Europa perché era “il risultato di una politica energetica sbagliata nel corso degli anni precedenti”. Avrà dimenticato il presidente della Russia che oggi circa dieci milioni di persone nel suo paese riscaldano le loro case con la legna? Le stufe a legna in Russia sono ancora utilizzate per riscaldare edifici residenziali, aziende statali, scuole, asili e ospedali. Così, nel 2022, lo Stato ha acquistato legna da ardere per oltre 4 miliardi di rubli (circa 52 milioni di euro). Alle famiglie a basso reddito vengono concessi sussidi per l’acquisto di legna, e, alla luce dei recenti avvenimenti, lo Stato ha disposto anche la distribuzione di legna alle famiglie dei mobilitati rimasti senza uomini.
Ma non bastano e ai volontari dei media regionali e delle ong tocca a raccogliere donazioni per comprare legna da ardere per i pensionati solitari e le famiglie numerose. Il fatto è che, secondo il Servizio statistico federale (Rosstat), in Russia il 12% delle abitazioni non è dotato di alcun impianto di riscaldamento. Ad esempio, nella Repubblica di Tuva, a nordovest della Mongolia, la stragrande maggioranza dei residenti non dispone di riscaldamento centralizzato, ma non c’è nemmeno il gas per i sistemi di riscaldamento individuali. Di conseguenza, l’81,5% dei tuvani riscalda le proprie case con legna da ardere o carbone. Nel 2021, il capo di Tuva ha chiesto personalmente a Vladimir Putin di costruire un gasdotto verso la repubblica, ma ha ottenuto un secco no: non accadrà perché è troppo costoso. Stessa risposta hanno ricevuto le autorità della Buriazia, altra vasta repubblica russa non collegata alla rete gas, dove oltre il 45% delle abitazioni è riscaldato a legna. Il gas non viene consegnato alla regione di Murmansk, Chukotka e altre quattro grandi regioni della Russia, e altre 11 regioni sono collegate alle rete per meno del 20%. Eppure la Russia è il secondo produttore di gas naturale al mondo. Possiede le riserve più grandi del pianeta, ma il gas non è disponibile per i residenti di migliaia di città e villaggi.
Il programma di collegamento alla rete per le regioni russe è in atto dal 2005, ma sta procedendo molto lentamente. Così, il circondario autonomo Jamalo-Nenec, la regione leader nella produzione di gas in Russia, è servito per meno del 50%. Uno dei motivi principali del ritardo è che Gazprom ha il monopolio sulle esportazioni del gas russo. Era previsto che l’azienda avrebbe diretto gli extra-profitti delle esportazioni per costruire i gasdotti per Tuva, Buriazia o Altai, ma in realtà ha destinato a questo solo un decimo delle sue entrate. Invece, Gazprom, a scapito dei consumatori domestici, costruiva i costosi Nord Stream. E poi è iniziata la guerra, che li ha resi inutili.
Allo stesso tempo, questa settimana Gazprom ha affermato che sebbene nel 2022 la produzione di gas sia diminuita del 20% e le esportazioni verso l’estero del 45%, 15 paesi (tra cui Germania, Turchia e Italia) hanno aumentato l’acquisto di gas da gasdotti russi. Inoltre, l’azienda ha stabilito un nuovo record per le forniture giornaliere di gas alla Cina e continua a fornirlo all’Europa in transito attraverso l’Ucraina “a livello stabile”. Ciò che è stato veramente bloccato dopo l’inizio della guerra è il famoso programma di costruzione della rete gas delle regioni russe. Ma è tutto fermo: niente infrastrutture per i cittadini russi.
Senza acqua e fogne – Ma il problema non è soltanto il riscaldamento. Mentre la propaganda spiega che, a causa dei prezzi dell’energia, gli europei sono presumibilmente costretti a riscaldarsi e lavarsi nei ristoranti fast food, milioni di cittadini russi vivono tutti i giorni senza elettricità, acqua corrente o fognature. Secondo il censimento russo condotto nel 2020, centinaia di migliaia di famiglie nei centri abitati non hanno la corrente. Più di cinque milioni di case non hanno acqua calda e più di tre milioni non sono proprio connesse a una rete idrica: prelevano l’acqua da pozzi o fontane. Inoltre, secondo Rosstat, un russo su cinque non ha accesso a una fognatura centralizzata. Quasi sette milioni di case dispongono di servizi igienici all’aperto e 117mila non ce l’hanno affatto. La stessa situazione si riscontra in scuole e ospedali. Nel 2020, il 41% degli ospedali in Russia era sprovvisto di riscaldamento centralizzato e il 31% di acqua corrente, e nel 14% dei casi si trattava di edifici pericolanti. L’anno successivo, il Ministero dell’Istruzione e della Scienza russo ha riferito che anche in più di 6mila scuole mancano di riscaldamento centralizzato, impianti idraulici e servizi igienici. Detto questo, gli edifici che dovrebbero subire interventi di manutenzione non vengono riparati, ma chiusi, il che aumenta ulteriormente il deflusso della popolazione dalla campagna russa.
Il caso di Nižnejansk – Un esempio è il villaggio di Nižnejansk nella Repubblica di Sacha (Jacuzia) dove una volta abitavano 2.500 persone. Adesso quasi tutte le case qui sono distrutte, quel che rimane è diroccato, ma ci vivono ancora duecento persone. Le case e le fosse biologiche sotto di loro sono costantemente allagate dal fiume, mentre in inverno la temperatura interna non supera i 19 gradi. Non portano via la spazzatura, non ci sono farmacie, medici, polizia, vigili del fuoco, e non c’è nemmeno la strada che porta al villaggio, quindi è estremamente difficile raggiungerlo e quasi impossibile uscirne. Anche le autorità locali hanno richiamato l’attenzione sulla situazione a Nižnejansk definendola “catastrofica”. Ma in Russia ci sono centinaia, se non migliaia, di questi villaggi. In tutto il Paese, grandi e piccoli progetti di costruzione — metropolitane, strade, ponti, ospedali, reti elettriche, gasdotti — sono fermi da anni per mancanza di finanziamenti. Nonostante questo, più di 40 regioni hanno già dichiarato la loro disponibilità ad aiutare con la ricostruzione delle aree colpite sui territori ucraini «liberati» dalla Russia. “Cercheremo di fornire l’assistenza necessaria in modo che lì la vita normale sia ripristinata il prima possibile”, ha scritto il governatore del Krasnodar Krai, una delle regioni che ha preso il patrocinio delle città distrutte del Donbass. Per quanto riguarda Nižnejansk, il governo regionale ha studiato attentamente la situazione nel villaggio e ha promesso di aiutarlo in qualche modo prima del 2035.