Si definiscono “sopravvissute” e non “vittime” per evidenziare la volontà di reagire e di riprendere in mano la propria vita. Sono le donne che hanno subìto mutilazioni genitali femminili (MGF) e che lavorano sul campo per mettere fine a questa pratica che colpisce 200 milioni di ragazze e donne in 31 paesi del mondo, secondo i dati diffusi da Unicef. Una pratica che comporta la mutilazione parziale o totale dei genitali esterni femminili, che non è prescritta dalla religione (al contrario di un’opinione ancora diffusa), e che può causare traumi fisici e psicologici, oltre che patologie. La maggior parte delle ragazze e delle donne pensa che vada abbandonata ma, sebbene si osservi un calo generale della sua prevalenza negli ultimi tre decenni, non tutti i paesi hanno fatto progressi e il ritmo del declino è stato irregolare. Per questo, nella Giornata della tolleranza zero contro le mutilazioni genitali femminili, Aidos lancia un nuovo video e il network europeo End FGM EU lancia la campagna #Road2EndFGM.

LA DIMENSIONE DEL FENOMENO E COME SRADICARLO – In Indonesia, Egitto ed Etiopia vivono più della metà dei 200 milioni di donne che subiscono MGF, ma la pratica è diffusa a livello globale e presente in tutti i continenti, inclusa l’Italia dove la presenza al primo gennaio 2018 sarebbe di 87.600 donne sopravvissute a MGF, di cui 7600 minorenni, secondo le stime di Patrizia Farina, Livia Elisa Ortensi e Alessio Menonna (rispettivamente dell’Università Milano-Bicocca, Università di Bologna e Fondazione IULM). In Italia, sarebbero a rischio dal 15% al 24% delle ragazze di età compresa tra 0 e 18 anni provenienti da paesi in cui si pratica la mutilazione genitale femminile, su una popolazione totale di 76.040 (dati EIGE 2018). Si tratta di stime in quanto in Italia non c’è un registro nazionale.

Intervenire solo sulle mutilazioni genitali femminili senza affrontare gli squilibri di potere tra uomini e donne ha un impatto limitato. È il messaggio che Aidos, ONG che opera da molti anni per sradicare questa pratica, affida ad un nuovo video disponibile sul suo canale YouTube. “Come ogni altra forma di violenza di genere, le MGF sono strettamente legate alle relazioni di potere tra uomini e donne. Per porre fine alla pratica è indispensabile lavorare sulle sue cause profonde e quindi rimettere in discussione i ruoli di genere. Questo vuol dire informare e sensibilizzare le comunità e coinvolgere uomini e ragazzi, al fine di affrontare una mascolinità tossica e quelle norme sociali che perpetuano disuguaglianze e stereotipi di genere, favorendo al contempo l’empowerment di donne e ragazze”, spiega Clara Caldera, coordinatrice dei progetti Aidos sulle pratiche dannose. Come promuovere azioni per realizzare l’uguaglianza di genere? “Dando potere alle ragazze e alle donne, coinvolgendo anche i ragazzi e gli uomini, che devono mettere in discussione la loro posizione di privilegio per costruire una società più equa. Tutt* hanno la responsabilità di trasformare le norme di genere”, è uno dei messaggi del video in inglese con sottotitoli in italiano realizzato da AIDOS nell’ambito del Programma congiunto UNFPA/UNICEF sulle mutilazioni genitali femminili e Spotlight Initiative per eliminare la violenza contro donne e ragazze.

LA MAPPA POLITICA DEL CONTRASTO ALLE MGF – La campagna #Road2EndFGM promossa dal network End FGM EU, che raccoglie 32 organizzazioni con sede in paesi, fornisce una preziosa mappa interattiva delle leggi e delle politiche dei paesi europei. Mappa da cui sappiamo, per esempio, che l’Italia ha una legislazione specifica che punisce chi pratica MGF e che, sulla base della Convenzione di Istanbul, consente alle donne che hanno subìto MGF di chiedere l’asilo politico, ma non ha un coordinamento nazionale delle azioni né un registro sui casi. Iniziative di finanziamento, di formazione e di comunicazione sono solo a livello regionale, non coordinate e non sistemiche.

I SERVIZI IN ITALIA – Come su tanti altri capitoli della sanità italiana, anche in questo la frammentazione regna sovrana, finendo per determinare chi ha accesso e chi no. “Alcuni ospedali e strutture sanitarie forniscono un supporto sanitario e psicologico, a volte anche sessuologico specializzato, mentre varie associazioni, centri antiviolenza, strutture di accoglienza migranti forniscono supporto sociale, mediazione linguistico-culturale, sensibilizzazioni e informazioni e riferimento verso le strutture sanitarie specializzate e quelle legali”, spiega Clara Caldera. Ma sono scollegate e manca un’informazione centralizzata. “Nel 2016 AIDOS aveva fatto una prima mappatura di questi servizi che verrà aggiornata entro il 2024 nell’ambito del progetto europeo End FGM e-campus: e-learning portal for professionals to end fgm in Europe.

Quello che la rete dei servizi, che include enti pubblici e privati, si organizza su base volontaria e ha tra i suoi nodi i Centri di riferimento regionali per le MGF che forniscono sia il supporto legale per l’avvio delle pratiche di richiesta di asilo politico, sia quello medico per l’assistenza (es. per il parto, la deinfibulazione, la cura delle patologie derivate) sia quello psicologico in ottica interculturale.

MANCA LA FORMAZIONE DEL PERSONALE SOCIO-SANITARIOLa mancanza di formazione è un problema strutturale, come spiega Augusta Angelucci, psicoterapeuta che per tanti anni ha lavorato Centro laziale di riferimento regionale per le MGF, che ha sede all’Ospedale San Camillo, diretto fino a poco tempo da Giovanna Scassellati. All’ignoranza si accompagna lo stigma: “In Italia nei corsi di formazione per le figure professionali socio-sanitarie legate alla salute sessuale, ma non solo, i temi relativi alle mutilazioni genitali femminili non vengono menzionati. Spesso le donne portatrici di MGF vengono ulteriormente discriminate e giudicate durante le visite mediche a causa dell’ignoranza dei sanitari che si interfacciano con loro”. Angelucci rimarca l’importanza di questo tipo di formazione in una società multiculturale come la nostra e la “necessità di avere in ogni regione un team multidisciplinare per accompagnare le donne che vogliono deinfibularsi (cioè ripristinare chirurgicamente l’apertura dell’orifizio vaginale che è stata chiusa durante l’infibulazione, praticata perlopiù in età infantile), essere informate sul tipo di mutilazione e sul diritto di accedere alla protezione umanitaria perché vittima di violenza di genere”.

LA PAROLA ALLE SOPRAVVISSUTE – Il network europeo EndFGM nasce nel 2014 come prosecuzione della campagna Endfgm (2009-2014) ai tempi capeggiata da Amnesty International insieme ad altre 10 organizzazioni europee (di cui AIDOS). La campagna è riuscita a porre la questione delle mutilazioni genitali femminili all’ordine del giorno nelle istituzioni europee e le organizzazioni hanno deciso di continuare per consolidare i risultati raggiunti. Questo riconoscimento ufficiale delle MGF tuttavia non sarebbe stato possibile senza gli sforzi di base delle comunità colpite dalle MGF. Lo rimarca il sito del network, che per la campagna 2023 punta sulle storie delle persone coinvolte nel movimento per la fine delle MGF o che sono state colpite da questa pratica.

SONO UNA SOPRAVVISSUTA, NON UNA VITTIMA – “Come sopravvissuta, capita che le persone esprimano compassione per me e non è una bella sensazione, soprattutto in un contesto professionale, dove sono presente come attivista che cerca di lavorare. Sì, sono una sopravvissuta, ma sono molto di più, non sono infelice per il mio percorso, ne sono orgogliosa e sto cercando di usarlo per migliorare la vita di altre persone. Sto bene.” Sono parole usate da Basma Kamel, 29 anni, figlia della diaspora egiziana e residente nel Regno Unito. Una delle 9 attiviste che ha voluto metterci la faccia e di cui si può leggere sul sito endfgm.eu.

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