Politica

Meloni insiste con la narrazione del ‘non sono ricattabile’. Ma la realtà è ben diversa

Nun te preoccupa’: Meloni ha risposto così al sostenitore che domenica scorsa, alla convention per le regionali del Lazio, le urlava dalla platea di “Non abbassare la testa”. Si tratta della ennesima puntata dello storytelling dal titolo “Io non sono ricattabile” che da alcuni mesi sta andando a reti unificate su buona parte dei giornali e delle tv nazionali. Il programma ha raggiunto il suo apice lo scorso mese di ottobre, quando la principale protagonista rispose con quelle precise parole alle pressioni di Berlusconi sulla composizione della compagine di governo. Definendosi “non ricattabile” Meloni riuscì, in un sol colpo, a replicare duramente all’alleato, ma anche a trasmettere agli italiani un’immagine ben definita di se stessa: quella di una leader non disponibile a compromessi al ribasso né a farsi condizionare da richieste o pressioni che non fossero in linea con l’interesse del Paese.

Nel codice penale il ricatto delinea un comportamento delittuoso, alimentato da minacce ed estorsioni. A livello politico la ricattabilità ha un senso meno violento, ma ugualmente negativo. E Meloni ha capito bene che la crescita nei consensi elettorali di Fratelli d’Italia, così come la propria permanenza a Palazzo Chigi, è fortemente correlata alla sua capacità di continuare a trasmettere l’immagine di se stessa come di una donna forte, libera, determinata, indisponibile a rinunciare alle proprie idee e ai propri programmi. Per dirla in sintesi, con una definizione in perfetta coerenza con il suo innato maschilismo, “una donna con le palle”.

Stampa e tv, appiattite e genuflesse di fronte ai nuovi padroni del vapore, la stanno aiutando non poco in questo lavoro e i risultati, quantomeno a livello di sondaggi, si vedono. Ma è davvero così?

Basterebbe ripercorrere la sua storia politica per cogliere qualche contraddizione nel percorso che l’ha portata fin qui. Molti dimenticano che Meloni è la stessa persona che votò la fiducia al governo Monti e la legge Fornero, approvò il Fiscal Compact, votò per tutte le leggi ad personam finalizzate a sopprimere i processi a Berlusconi. E fu tra coloro che votarono per Ruby nipote di Mubarak. Furono tutte scelte libere e non condizionate da interessi di parte o carriera?

Ma veniamo al presente. Dopo 100 giorni dall’avvio del suo governo è giusto e doveroso fare il punto anche sul grado di “non ricattabilità” della nuova premier. Per concludere che la realtà dei fatti è totalmente e nettamente antitetica alla narrazione di Meloni e dei tanti amici che la sostengono nelle redazioni televisive e giornalistiche.

Andiamo per punti e partiamo dall’economia. Sappiamo bene che, dovendo gestire un sistema economico sfibrato dal debito pubblico, dall’inflazione e dai rischi di recessione, qualsiasi governo sarebbe sottoposto a pressioni e condizionamenti di ogni sorta. Si tratta allora di scegliere da che parte schierarsi o, se vogliamo, da chi farsi “ricattare”: le famiglie che non arrivano a fine mese o le imprese che non vogliono pagare gli extra profitti sugli utili? I lavoratori che pagano le tasse o gli evasori che esigono condoni e uso illimitato del contante? I cittadini che rivendicano il salario minimo o quelli che chiedono flat tax e sconti sulle plusvalenze di borsa? Le persone senza lavoro che chiedono il reddito di cittadinanza o le società di calcio che chiedono un miliardo di dilazioni fiscali? Le imprese che operano nella green economy o quelle che investono sulle armi?

Mi pare evidente che a fronte di questi dilemmi Meloni abbia scelto chiaramente da che parte stare. Fra i deboli e i forti, ha scelto chiaramente di stare con quel coacervo di interessi, privilegi e poteri che forse è indispensabile per evitare cedimenti e crepe nella sua maggioranza, ma che difficilmente potrà garantire un futuro di ricchezza, di sviluppo e di stabilità per tutto il Paese. Scelta libera? Non direi proprio.

Rapporti internazionali. La continuità dell’attuale esecutivo con le politiche del governo Draghi è totale e quasi imbarazzante. Eppure, Meloni ci aveva garantito che sarebbe andata a Bruxelles e Washington a testa alta, superando le presunte subalternità del passato. Qualcuno ci può indicare una questione, una rivendicazione, una materia su cui il nostro governo, in questi 100 giorni, ha fatto sentire una voce dissonante dalla linea imposta da Nato e Ue? E da dove nasce questa rinuncia? Sarà forse perché le esigenze di legittimazione della nuova maggioranza verso le tecnocrazie europee e atlantiche hanno prevalso sul rischio e la paura di isolamento? E come vogliamo chiamarla questa fantozziana sottomissione? Non è un ricatto, è vero. Ma certamente non è un segno di indipendenza e di autonomia.

Giustizia. Io non posso credere che una forza politica che ha nel suo Dna le parole d’ordine “legge e ordine” possa affidare questa partita a una persona come Carlo Nordio. L’abolizione dell’abuso d’ufficio, il taglio alle intercettazioni, la delegittimazione dei magistrati, la reiterazione dei danni causati dalla schiforma Cartabia, ecc… possono spiegarsi in un modo solo: l’alleato Berlusconi, quello che in teoria avrebbe tentato inutilmente di ricattare Meloni, in realtà sta dettando la linea del governo su questa materia. E Meloni può solo subire, provare a mediare e magari spostare l’attenzione su altre questioni. Per una persona che non intende soggiacere a ricatti, anche questa vicenda mi sembra che per ora si concluda con un esito poco edificante.

L’autonomia differenziata è invece la materia su cui proprio in questi giorni l’altro alleato, quello “padano”, sta passando all’incasso. Lo sanno anche i sassi che lo spacchettamento dell’Italia in venti repubblichette non piace a Meloni e ai suoi amici. Eppure lei, quella libera e non ricattabile, ha accettato di avviare una riforma che va contro la sua idea di Stato forte e unitario. Si dirà: era scritto nel programma. E che c’entra? Se davvero fosse persona disposta a “non abbassare la testa” quel programma e quella riforma non li avrebbe mai approvati.

Si aggiunga, sempre per restare in casa leghista, che domenica prossima il partito di Meloni si accinge a votare per un presidente, Attilio Fontana, che nel recente quinquennio da presidente della Lombardia ha inanellato errori, disastri e danni di ogni tipo. Eppure, Fratelli d’Italia lo voterà. Probabilmente in cambio di tanti assessorati. O anche, semplicemente, per evitare fibrillazioni del governo romano. Quello che Meloni non potrà certamente fare né dire è che quei voti nascono da scelte libere e consapevoli.

Per concludere, ricordo che ventun anni fa Giuliano Ferrara, in un dibattito con Piercamillo Davigo su Micromega, sosteneva che in politica, se non sei ricattabile, non puoi far carriera. Credo che quella affermazione, dura e brutale come è nello stile dell’uomo, fosse esagerata, ma non del tutto infondata. Di sicuro, se penso a questi primi 100 giorni del governo Meloni, credo non ci sia nulla di più azzeccato.