Un giorno Mastroianni disse a Elena Sofia Ricci: “Sof’, mi raccomando. Questo lavoro si impara facendolo: sporcati le mani”. Lei ha seguito il consiglio e in quarant’anni di carriera ha fatto di tutto, il teatro classico, le fiction nazional-popolari da dieci milioni di spettatori, il cinema d’autore e la commedia. Talento conclamato, garbo da antidiva e ironia maneggiata con sapienza sono le chiavi del suo successo, cui si aggiunge la rincorsa verso nuove sfide per scappare delle etichette. Così ha lasciato dopo sette stagioni (e ascolti record) la suor Angela di Che Dio ci aiuti per trasformarsi in Teresa Battaglia, la profiler dal fiuto infallibile di Fiori sopra l’Inferno, la nuova serie di Rai1 diretta da Carlo Carlei, coprodotta da Rai Fiction con Publispei, in onda dal 13 febbraio.
Fiori sopra l’inferno, tratta dal romanzo di Ilaria Tuti è la sua prossima sfida. È più emozionata o spaventata?
(ride) Tutte e due le cose. Da sempre raccolgo i guanti di sfida e da sempre lo faccio con grande entusiasmo misto ad emozione e anche paura. Che mi porto dietro da sempre.
Anche dopo quarant’anni di carriera?
Oggi più di ieri. E non è una frase fatta. Da ragazza sei incosciente e non sei conosciuta, la gente non si aspetta tanto da te. Dopo 42 anni di contributi, il pubblico mi conosce e si aspetta di essere sorpreso con qualcosa di importante.
Ansia da prestazione?
No. Ma sento la responsabilità di non tradire le aspettative e la fiducia del pubblico. Voglio essere all’altezza.
Quando le hanno proposto Fiori sopra l’inferno, cos’ha pensato?
Che non sarebbe stato facile tirare fuori l’anima di Teresa Battaglia. Il romanzo ha avuto un successo clamoroso, anche fuori dall’Italia, nell’immaginario del lettore la protagonista aveva un volto e uno sguardo preciso, non così immediato da rendere televisivamente. Infatti, non si poteva farla come nel romanzo e l’abbiamo trasformata fisicamente. Ma l’anima di Teresa, uscita dalla penna di Ilaria Tuti, alla fine è venuta fuori.
In definitiva, si è piaciuta?
Non saprei risponderle, perché girando tutto in presa diretta, le puntate le vedrò col pubblico. Anzi, me le farò mandare visto che sono una trottola che gira per l’Italia passando da un set al palco del teatro come una povera matta.
La Tuti l’ha promossa?
Ilaria era super emozionata e felice, sul set le sembrava tutto bellissimo. Ma lei è affetta da buonismo peggio di me (ride).
Lei sembra tutto tranne che una buonista.
Forse più che da buonismo, sono affetta da “comprensivismo”. Dopo la grossa analisi fatta su di me, cerco sempre di capire la ferita dell’altro e comprendere le fragilità altrui. E questo mi accomuna molto alla protagonista della serie.
Teresa ha poi un lato molto duro, una sorta di corazza che serve a proteggere le sue fragilità.
L’infanzia violata è uno degli snodi centrali della serie. I quattro ragazzini protagonisti, così come Teresa, hanno avuto una vita violata. Io anche ho avuto una ferita infantile importante (a 12 anni ha subito un abuso da parte di un amico di famiglia, ndr) e riconosco negli altri la fragilità e i vuoti di chi ha sofferto. Se hai conosciuto certi inferni e li hai attraversati, li riconosci anche nell’altro.
Teresa è un commissario di polizia dal fiuto infallibile, specializzato in profiling: non gira con la pistola ma usa la sua anima e la sua mente per profilare le caratteristiche psichiatriche. Però dovrà fare i conti coi primi sintomi dell’Alzheimer.
Soffre di diabete, poi ad un certo punto scopre di soffrire anche di Alzheimer. Sono due malattie di cui si parla poco, soprattutto nelle serie tv, e trovo interessante e giusto che il servizio pubblico affronti questi temi. Perché si alza l’età media delle persone e sempre più facilmente ci si ammala di Alzheimer e di altre patologie neurodegenerative.
Come si è preparata per rendere più veritiero questo aspetto del suo personaggio?
Nella mia famiglia se ne sono andati quasi tutti molto presto a causa di tumori aggressivi. Ma persone a me molto care hanno avuto a che fare con diabete e ho chiesto consigli. Il confronto più grande però è stato quello con una delle mie più care amiche, che ha vissuto dieci anni di inferno avendo un genitore malato di Alzheimer. Abbiamo condiviso paure, tormenti e lo sgomento: attraverso la sua disperazione ho cercato di affrontare le paure di Teresa, la quale ad un certo punto sceglie la solitudine che diventa il terzo mostro del racconto.
Voltiamo pagina. Il conto alla rovescia per Sanremo è scattato: sarà ospite nella prima serata, ma di lei si è parlato qualche volta come possibile co-conduttrice. Ci sono mai stati contatti?
Scopro sempre attraverso i giornali che il mio nome viene fuori. Con me sono stati tutti super affettuosi, sia Amadeus che Carlo Conti, ma la verità è che non sono mai stata interpellata e li ringrazio perché non sarei all’altezza di quel ruolo.
Che fa, pecca di modestia?
No, semplicemente mi sento male a salire su quel palco. Ho parlato con cantanti dalle carriere clamorose che mi hanno detto: “Non c’è stadio che faccia paura quanto l’Ariston”. Per fortuna quest’anno devo solo essere me stessa e raccontare la nuova serie. Fu molto peggio quando Carlo Conti mi fece cantare.
Ieri sera si è chiuso un capitolo lungo dodici anni della sua carriera: è stata la sua ultima puntata in Che Dio ci aiuti. Il pubblico come ha reagito?
Il pubblico ormai ha imparato a perdonarmi i tradimenti. È capitato con Orgoglio, poi con I Cesaroni. Lascio quando sento di aver dato tutto a un personaggio, che poi non rinnego mai. Scelto un ruolo, ne cerco sempre uno opposto. So bene che è proprio grazie alla mega popolarità della tv e del cinema che la gente viene a vedermi a teatro. Li ho conquistati con Elisa di Caro Maestro, con Suor Angela, con Veronica Lario del film di Sorrentino o con la Zia Luciana di Mine Vaganti… e poi gli rifilo il monologo dell’Ignota in Come tu mi vuoi di Pirandello. Ironia a parte, non smetterò mai di essere riconoscente al pubblico.
Che cos’è per lei il teatro?
È il ritorno a casa, o forse il ritorno in culla. Sono nata a teatro, al Quirino di Roma dove per altro sarò in scena dal 31 gennaio. I primi saggi di danza con la scuola di Mimma Testa, che ha chiuso col Covid, li ho fatto quando avevo 7 anni e mezzo. Vengo da quella storia lì: la danza, la musica, la chitarra classica e la recitazione.
Il debutto se lo ricorda?
Al San Ferdinando di Napoli, con La scuola delle mogli, diretta dal mio maestro Scaccia. Era il 1981. Da lì non mi sono più fermata.
Ora è in tournée con La dolce ala della giovinezza di Tennessee Williams.
Amo fare i classici, da Seneca – che ho fatto anche da regista – a Moliere e ora Williams, perché mi mettono con le spalle al muro. Il grande autore per me vincerà sempre ma o vai verso il classico e lo rispetto, oppure cadi.
La protagonista dello spettacolo è Alexandra, star del cinema in declino, alcolizzata e depressa. Quanto si sta divertendo a fare un personaggio così?
Tantissimo. Alexandra è una donna alla deriva, sul barato. Trasforma la disperazione in mostruosità e la paura di morire la fa diventare pronta a tutto per sopravvivere. Lo sa che non vedevo l’ora di avere 60 anni per andare in scena con questo personaggio? Sono felice di esserci riuscita. Sono felice di tornare sul palco e fare fatica: il teatro è il luogo dove sono obbligata a crescere e ad alzare l’asticella.