Destinazione Paradiso. Con Gianluca Grignani è subito italian pop maudit. Chi tra i cinquantenni di oggi non lo riconoscesse più, lo vede oscillare statuario e un po’ imbolsito tra il pirata Johnny Depp e i lineamenti dolci alla Vanessa Incontrada (fluido naturale il Grignani, altrochè trucco e parrucco). “Figo da paura” dicevano le ragazze nel 1995 quando incastrò tra le Nuove proposte di Sanremo quel brano che faceva così: “C’è che prendo un treno che va/ A paradiso città/ E vi saluto a tutti e salto su/ Prendo il treno e non ci penso più”. Grignani, all’epoca 23enne, colpì occhi e orecchie del pubblico, diventando intanto sex symbol (che male non fece) e vendendo, con l’album Destinazione paradiso, oltre due milioni di copie. Dentro a quell’album c’erano Falco a metà e nientemeno che La mia storia tra le dita, sorta di suadente ballata che scivolava, e scivola ancora oggi modello hall of fame de noartri, eterea ed eterna tra gli accordi di chitarra inconfondibili della mano sinistra e una leggera pizzicata delle corde con la mano destra. Sette le volte in gara all’Ariston da quella volta lì. Sette le mazzate più o meno forti subite in diretta nazionale. La peggiore? L’eliminazione di Liberi di sognare nel 2006 dalla gara. SjWaeoH5[/jwplater]
Ma anche due ottavi posti, con briscola però a denari, coppe e bastoni, nel 2008 e nel 2015, che non sono riusciti mai a farlo rientrare del tutto nella fascia alta che, comunque, nella discografia italiana meriterebbe. Personalità complessa il Grignani, caratteraccio da burbero, problemi di alcol, droga e mani alzate a sproposito, ma sempre una colonna, anzi una roccia in scena che si rifiuta di cantare in playback (“quando canto dal vivo mi sembra di girare nudo per casa”) e che all’occorrenza litiga anche con il pubblico che lo contesta da basso. Dal palco, invece, del 1 maggio, edizione 2006, chiude la sua performance dicendo: “Non sono né di destra né di sinistra ma sono dalla parte del popolo: lo ero, lo sono e lo sarò e scrivo per voi”. Poeticamente malinconico, con un proprio riconoscibile limpido timbro vocale vagamente strascinato, volontariamente trasversale rispetto alle smancerie del sistema, Grignani cantava già nel 1996 con gli occhi puntati addosso da mezzo mondo nell’acida La fabbrica di plastica: “Io vengo dalla fabbrica di plastica/Dove mi hanno ben confezionato/Ma non sono esattamente uscito/Un prodotto ben plastificato”.
Vent’anni dopo nell’album Natura umana, eccolo ancora a disagio nello showbiz, in un bel brano rock intitolato Le scimmie parlanti “Io e la mia faccia da clown/Che non riflette più/Tra le scimmie parlanti in TV”. Marchio di fabbrica di Grignani rimane questo invocare una via di fuga, cercando un volto, un’anima, uno spirito femminile che come per i migliori bluesman statunitensi, lo aiuti ad uscire e a riemergere dal buio di un passato dimenticabile. E a suo modo anche il brano che il cantautore lombardo porta a Sanremo 2023, Quando ti manca il fiato, è un ricordo spezzato, un canto struggente rivolto al padre. Cinquant’anni, quasi trenta di palco (e realtà), e dimostrarli tutti. Con maledetta classe. Grignani punta alto. Anche a vincere il Festival.