Mai prima tanto attesa. Finalmente tre ore di bel canto, le note volano come farfalle: the conductor. Divino, come sempre, si inchina alla platea sobria ed elegante. Qualche dubbio? Forse. Non mi riferisco a Sanremo. Ma alla prima del teatro San Carlo, La Damnation de Faust di Hector Berlioz, che ha aggiunto un altro gioiello alla sua programmazione. E così al duo di gatto e volpino Amadeus/Gianni Morandi ho preferito il mefistofelico Faust. Ai vocalizzi stridenti di Anna Oxa, meglio i sospiri del mezzosoprano Daniela Barcellona e meglio pure gli acuti di Ildar Abdrazakov, tra i bassi più famosi al mondo, ai calci “da diavolo in corpo” di Blanco, uno dei momenti di più basso intrattenimento festivaliero. Prende a calci il Festival e l’intero sistema (volevo divertirmi un po’, dice). Come le finte tette di Chiara Ferragni disegnate sull’abito nude.
“Tanto se mi perdo Sanremo domani me lo rivedo su Raiplay”, dico a Emmanuela Spedaliere, infaticabile direttore generale del teatro San Carlo. Stupida io. Avevo dimenticato che Sanremo è ormai una cosa per nottambuli. Ama(deus) alle maratone di Enrico Mentana gli fa un baffetto. Sono quasi le due e Gianni Morandi fringuella ancora. L’eterna giovinezza promessa al Faust in cambio della sua anima sembra essersi estesa agli inossidabili: i Pooh (non si può essere intonati per sempre. Niente lifting alle corde vocali?) e ai Cugini di Campagna, molto paillettati in Abba Style. Il dopo Festival da after hours: attacca Fiorello, imperdibile come sempre: “Mattarella, se n’è andato via subito. A me già casca la palpebra”. Mentre la dottoressa Adele Sparavigna, una delle massime esperte di skin wellness, direttamente dal palco di Sanremo è stata catapultata a una diretta radio alle 4.40. Lei approva la (s)vestizione della Ferragni. “L’abito senza vergogna. Indossare la propria pelle senza che questo debba evocare pregiudizi e/o autorizzare qualcuno alla violenza contro le donne. Il classico se l’è cercata”.
La butto lì e chiedo alla Sparavigna: “Cosa gli date a Morandi, 79 anni, debutto a 18, 536 canzoni, nove canzoni e mezzo ogni anno, continua ad andare a cento all’ora?“. Poi all’alba riattacca Fiorello. E il circo ricomincia. Le battute più genuine le mastica il web, a proposito di Roberto Benigni: “Dopo educazione civica c’è palestra o disegno?”; “C’è Blanco al quale non piace la scenografia”; “Mattarella è venuto con la badante?”.
Mi vengono i brividi ascoltando Blanco e Mahmood, ma forse saranno le temperature sottozero di questi giorni; Marco Mengoni, vestito in pelle, non ha il casco (sarà venuto in moto?) ma il brano è carino. Ama(deus) non manca di magnificare, citandoli uno a uno, i dirigenti e il presidente della Rai, come Fantozzi e il megadirettore galattico.
All’alba mi manda un whatsapp il pensatore napoletano Giovanni Tommaso Rovati: “Ama(deus) si è dimenticato di ringraziare mio padre che paga il canone dal 1957. L’imposta sulle radioaudizioni venne istituita nel 1938, anno XVI dell’era fascista. Però nessuno l’ha mai abrogata. Figuriamoci adesso. Pecunia non olet. Non ho il reddito di cittadinanza e neppure un impiego in Rai. Sveglia alle 6, come tutti quelli che hanno ancora un lavoro. L’Italia non è ancora una Repubblica fondata su San Remo”.
Ps. Stasera non perderò Francesca Fagnani. Mi intervistò otto anni fa a Gstaad per Servizio Pubblico di Michele Santoro: la ricchezza non è per tutti. La tempra di piccola belva sotto l’apparenza di agnellina. Fu bravissima, mi fece dire cose che non volevo. Dovevano fare il c*letto a Silvio Berlusconi. Lo fecero a me e nessuno a Gstaad mi rivolse parola per un bel po’.